RICORDI «PROGRESSIVE» di Franz Di Cioccio

RICORDI «PROGRESSIVE» RICORDI «PROGRESSIVE» Anni 70: tutto cambiava e Franz, con la sua batteria... Domenica 11 in Sala Madrid (ore 16) incontro con Franz Di Cioccio della Pfm sul tema «Com'era "prog" la mìa vallata». AVETE presente la vista di una bella valle dopo una lunga salita? Era questa la sensazione del panorama musicale all'inizio degli Anni Settanta. Una scalata faticosa, tra canzoni melodiche e tante cover da 45 giri, alla ricerca di un luogo dove far scorrazzare il sogno della mia generazione. La valle del prog era verde e tutto quel territorio da conquistare era qualcosa che toglieva il fiato dall'emozione. Io sono un batterista autodidatta, uno che ha cominciato a suonare ascoltando la musica degli altri, senza mai aver avuto il tempo di soffermarsi più di tanto sulle cose. Ascoltare, ascoltare e memorizzare. Poi suonare per provare a vedere cosa usciva da queste mani che non ne volevano sapere di mettersi a «lavorare/) (per mio padre fare il musicista non era un lavoro serio... o almeno non quanto prendere un diploma!). Ma loro, le mani, erano la mia voce, la mia finestra aperta sul mondo al quale volevo comunicare che c'ero, che esistevo. Ero deciso a dire la mia, con la musica, con le note, con il sudore delle mie rullate. Nella valle c'era posto per tutti: bastava trovarne il coraggio per dire - io farò il musicista e mi accampo in quest'area. Ogni volta che prendevo in mano le bacchette scattava una specie di sfida con me stesso per cercare di trovare un'idea, qualcosa che potesse farmi distinguere. Fare musica con Lucio Battisti mi diede una bella sensibilità, ma c'era ancora molto da fare. Come era bello rullare un passaggio a Ginger Baker (batterista dei Cream), o una cadenza ritmica di Carmine Appice dei Vanilla Fidge, o sfilare dalle mani una rullata a Billy Cobham per poi metterla nella mia testa... Già, era lei il campionatore di allora! Si interfacciava con il mio cuore e con tutti i nervi eccitati dalla bella musica dei maestri occasionali, quelli che incontravo quando sconfinavo al di là del mio territorio. La valle era grande e i suoi abitanti erano in continuo fermento. I Pink, gli Zep, i Purple... questi i nomi di alcune tribù. A loro si univano gli echi di voci più nuove. Alan Stivell, Mike 01field, i Crimson e i nostri coevi Yes e Genesis. All'improvviso sentii qualcosa dentro che cominciava a non darmi pace. Mi chiedevo - Perché noi italiani non possiamo stare alla pari con queste tribù straniere? Cosa ci manca? La tecnica forse?... No, non può essere questo il motivo: non si arriva solo con quella. Ci voleva una cosa sola: l'idea. L'idea è il fuoco sacro che ogni musicista ha quando sente vicina la sua svolta. La Pfm è la mia tribù di appartenenza. E' con lei che sono riuscito a dare una voce alle mie fantasie. Durante il nostro primo disco mi venne in aiuto il computer biologico, quella macchina perfetta che si chiama memoria. Lì convivono gli ultimi istanti di una sensazione epidermica e il dna artistico, quello che salda le tue radici con la tua spiritualità. L'idea era proprio a portata di mano. E fu subito «Celebration». Usai il tempo del saltarello, il ballo rituale dei miei antenati abruzzesi, un ritmo simile alla tarantella o alla square dance irlandese e americana. La mia fisicità da batterista rock si fondeva con la leggerezza della danza antica. «Celebration» divenno un successo mondiale perché c'è un'anima popolare che gira per il mondo e lega tutto con un filo invisibile. I musicisti di oggi hanno molti mezzi a portata di mano per imparare. Ci sono scuole, metodi didattici e la co- municazione è diventata talmente preponderante da far dimenticare la semplicità con cui l'orecchio sa dinstinguere quando una cosa è bella davvero. All'epoca era l'istinto che guidava. C'era da scoprire come fare un concerto o inventarsi uno spettacolo, come vestirsi, come parlare, come... fare il musicista perché «non era un mestiere» e nessuno ci aveva detto che poteva diventarlo. Volevamo solo suonare, volevamo solo che nella valle si accorgessero che c'eravamo anche noi, quegli italiani un po' casinari, chiassosi, sgangherati ma la cui musica era tutt'altro che mandolini, pizza e melodramma. Salone della musica, 11 ottobre ore 16: ci sarò anch'io e non certo per parlare di lasagne e fettuccine, ma per ricordare che l'istinto è l'artigiano delle nostre sensazioni. Franz Di Cioccio Nellafoto Anni Setta/ita Di Cioccio, instancabile, balte il tempo della nuora musica. In alto, un riflessivo Irono Fossati

Persone citate: Alan Stivell, Billy Cobham, Crimson, Di Cioccio, Franz Di Cioccio, Ginger Baker, Lucio Battisti

Luoghi citati: Madrid