L'EDITORE IDEALE COME MODELLO

L'EDITORE IDEALE COME MODELLO L'EDITORE IDEALE COME MODELLO Einaudi: il debito con Gobetti EL momento in cui Gobetti lasciava l'Italia, Alfredo Poliedro fondava la Slavia, casa editrice nota in particolare per la pubblicazione di classici russi, tradotti integralmente dal russo, mentre sino allora le traduzioni, spesso monche, erano dal francese. Già Gobetti, col suo «Paradosso dello spirito russo», aveva aperto la strada alle letture e allo studio del pensiero russo. Alla Slavia collaboreranno per le traduzioni i migliori slavisti, da Lo Gatto a Poliedro stesso, alla Duchessa d'Andria, ed infine il giovane Leone Ginzburg, che nel 1927, a 18 anni, tradurrà Taras Bul'ba di Gogol, iniziando la sua attività in campo scientifico di studioso della letteratura e della cultura russa. L'anno prima in classe, al Liceo d'Azeglio, quando Umberto Cosmo annunciò con voce accorata la morte di Gobetti, Bobbio racconta che a quel tempo non sapeva chi fosse Gobetti, e che solo Ginzburg lo sapeva e «alla fine della lezione ce ne parlò». Ma a parlare di Gobetti fu un gobettiano ante-litteram, il professore Augusto Monti. Monti diresse sino al 1928 la rivista gobettiana «Il Baretti», ri gusto Monti. Monti diresse sino al 192vista che raccolse intorno a sé i migliori suoi allievi, da Ginzburg a Pavese, a Mila, rivista che fece da ponte tra due generazioni, quella di Gobetti e quella di Ginzburg, che non si erano mai conosciuti di persona: e attraverso le parole di Monti il pensiero di Gobetti veniva trasmesso quasi in forma catacombale in una buia sala del Caffè Rattazzi. Gobetti pensava fermamente che solo attraverso le riviste si formano gruppi omogenei di persone che, attente alto studio, si preparano all'azione. Ora quando «Il Baretti» cessò le pubblicazioni, Ginzburg iniziò a collaborare a «La Cultura», e quando intravide la possibilità di trasformare questa rivista di alta cultura rendendola più agile e viva pur mantenendone le caratteristiche di culturale rigore, suggerì a me - sin dagli anni di liceo impegnato editorialmente nella rivista cU mio padre «La Riforma Sociale» - di assumere la edizione de «La Cultura», e di affiancare alle due riviste e in sintonia con esse, sull'esempio gobettiano, una attività editoriale vera e propria. Un passo indietro. Nel 1924, nell'introduzione all'edizione cappelliana de La Rivoluzione Liberale, Gobetti scriveva: «La nostra sarà, nel suo aspetto più originale, una generazione di storici». Ginzburg fece suo questo ideale: solo la riflessione storica avrebbe consentito di vedere con occhi non offuscati da pregiudizi il passato ed individuare l'azione per il presente. Quindi gli studi, e nello studio, l'impegno, lontano da ogni accademismo, ma attento ai valori della filologia e del rigore. Critico di ogni conformismo, fu inflessibile resistente al fascismo e tenace custode dei valori alti della cultura. Di qui la sua appassionata lotta per la libertà, politica e culturale, il suo proposito di far diventare la rivista «La Cultura» un organo di aggregazione di valori dispersi, di voci che non avrebbero trovato altrove spazio. Arrestato Ginzburg nel marzo '34 per attività clandestina, e condannato a quattro anni di carcere, di cui due condonati per amnistia, «La Cultura», rimasta orfana del suo promotore, non si arrese, e se la sua vita fu breve, dal marzo 1934 al maggio '35, lo fu perché soppressa dal regime. Ma molti suoi collaboratori confermando l'idea ginzburghiana e gobettiana delle riviste come centro di cultura, divennero autori della casa editrice, da Augusto Monti a Luigi Salvatorelli, da Cesare Pavese a Carlo Levi, ad Arnaldo Momigliano, a Paolo Treves, da Massimo Mila a Giulio Carlo Argan, da Zino Zini ad Arrigo Cajumi. [...] Leone Ginzburg tornato dal carcere riprese la sua attività presso la casa editrice, curando in particolare la «Biblioteca di cultura storica», che già si era distinta pubblicando nel 1935 il libro di Salvatorelli II pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, attivando la collana dei «Saggi» e impostando quasi a riprendere il lavoro 'egregiamente svolto da Poliedro colla sua «Slavia» e da Franco Antonicelli con la sua «Biblioteca europea» edita da Frassinelli, la ormai famosa collezione con la copertina in carta da zucchero «Narratori stranieri tradotti», nonché la a lui ben congeniale «Nuova raccolta di classici italiani annotati», affidandone la cura a Santorre De Benedetti. Se consideriamo l'influenza che Einaudi e Gramsci ebbero su Gobetti, e quella che Croce e Gobetti ebbero su Ginzburg, vediamo che le loro diverse ideologie, tutte peraltro tese al comune obiettivo della libertà, fuse in un unico crogiolo dialettico, hanno costituito le basi di un confronto tra le generazioni dei padri e quelle che si sono succedute nel corso di questo lungo secolo. Queste sono le radici che si sono intersecate, favorendo la crescita di un pensiero aperto a tutte le esperienze ma fermamente ancorato al principio della «religione della libertà» che Croce riprenderà da Gobetti. E' a questo principio che ancor oggi la casa editrice Einaudi si richiama, ben sa- pendo che i vari libri che essa edita sono al servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben sapendo che senza questa integrazione, questa compenetrazione dialettica, si rompe un filo invisibile che lega ogni libro all'altro, si interrompe un circuito, anch'esso invisibile, che solo dà significato a una casa editrice di cultura, il circuito della libertà. Giulio Einaudi L'editore Giulio Einaudi ha ricevuto ieri la laurea in Lettere honoris causa all'Università di Torino insieme con Vittorio Foa. Pubblichiamo una parte della sua lezione «La mia casa dei libri: nei decenni una testimonianza lungo il Jilo della libertà» A

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