NELLA MINIERA DI ALI BABÀ' di Stefano Bartezzaghi

NELLA MINIERA DI ALI BABÀ' NELLA MINIERA DI ALI BABÀ' Celati, Calvino e una rivista mai nata a cura di Mario Barenghi e Marco Belpoliti Marcos y Marcos pp. 322 L. 26.000 ALI BABÀ' IANNI Celati si cura poco degli mi- riga n. 14 /B ^ zi («Qualsiasi cosa facciamo comin¬ cia prima di noi, noi continuiamo uno svolgimento») ma ama vedere le cose sfociare e arrivare magari per contestare alle conclusioni la loro ostinata pretesa di essere definitive e logiche: «a me quello che interessa è veder finùe le cose nella bagarre». Italo Calvmo, al contrario, mette grande energia nei preUminari in genere: a parte il suo libro tutto incipitario (Se una notte d'inverno un viaggiatore...), Lncomìncia sempre con una struttura di libro messa a punto magari a costo di anni di rovelli (come per II castello dei destini incrociati). Si sa che il rapporto fra id Cl Cli è ll Gianni Celati pidue, Calvmo e Celati è stato alla base di quello fra Kublai Khan e Marco Polo nelle calviniane Città invisibili: il viaggiatore che alla fine del viaggio racconta e l'imperatore che si accinge ad ascoltarlo, così come Calvmo accoglieva le visite di Celati, che gli riportava idee, libri, fermenti. Aver mostrato i caratteri di questa amicizia sarà anche il maggiore ma non è certo 1' unico merito dell'ultimo numero della rivista Riga. Curato da Mario Barenghi e Marco Belpoliti, il fascicolo si intitola ad Ali Babà, che era una fra le testate che sono state proposte per una rivista di cui Calvino e Celati parlarono tra il 1968 e il 1972. I loro complici in questa impresa ( che ha avuto grande importanza anche senza produrre neppure un numero zero) erano ii francesista Guido Neri, lo storico Carlo Gùizburg. il filosofo Enzo Melandri, e altri studiosi di letteratura, semiotica, hnguistica, variamente coinvolti o anche solo consultati (come Oreste del Buono) ai diversi stadi del progetto. Quelli pubblicati di Riga sono in parte materiali inediti: i carteggi oggi reperibili fra Calvino, Celati e gli altri, i protocolli del progetto, e mio straordmario primo menabò steso da Calvino. Altri testi sono saggi e articoli che gli autori scrissero in quegli stessi anni, e sulla base di quelle discussioni (come Lo sguardo dell'archeologo di Calvino, Ilbazar archeologico di Celati, Spie di Ginzburg). Infine, ci sono alcuni testi scritti oggi: i saggi inaugurali dei due curatori e una nota di Marco Suoni che chiarisce il senso di alcune discussioni su Northrop Frye e la sua Anatomia della critica. Essendo uomo di explicit chiudere tocca proprio a Celati, con una preziosa rievocazione scritta ora, in forma epistolare. Tante lontane parole e discussioni continuano ad avere un senso, per il lettore di oggi. Da mi lato gli permettono di conoscere gli sviluppi progettuali e l'aspetto ancora informe delle opere che questi autori stavano scrivendo: opere che nascevano da dibattiti, scambi di idee, analisi; ma anche opere che oggi (mala tempora currunt) sono magari considerate algide e «calcolate a tavolino» (come appunto Le città invisibili). D'altro lato testimoniano lo scambio fra autori diversi. L'idea dello «scambio di idee» non dovrebbe passare così liscia. Noi abbiamo un'immagine del tutto smgola, mentale, anche solipsistica del farsi delle idee: uno ascolta, legge, apprende un concetto, e così «gli si fa un'idea» nella testa. Le idee come concrezioni vellutate, muschi che sorgono sull'ombrosa parete Nord del cervello. Nulla di molto scambievole, apparentemente. Qui invece si leggono le conversazioni di persone che, senza mai un traffico di cattedre e marchette reciproche, progettano almeno quattro riviste diverse m quattro anni, incominciano a parlare del perché il Sessantotto non sta producendo alcuna letteratura (già, perché?), obiettano e controbiettano, frequentano tutte le novità, che non erano nuovi libri ma intere nuove discipline che affioravano da un giorno all'altro. Il Celati di allora, con qualche brivido del Celati di adesso, era un teorizzatore inesausto, per nulla imbarazzato né dal porsi domande del tipo «Che cos'è la letteratura?» né dal provare a formulare risposte. E così trascina Calvmo (e ne viene trascutato) a un'avventura dalle ambizioni grandiose: una rivista attorno a cui far sorgere gruppi di studio per costruùe una «Poetica del discorso umano». La immaginavano come un'ipotesi complessiva, legata all'antropologia, alla semiologia e alla psicanalisi e basata sulla strana idea di «modelli incolmabili»: modelli che non riducono il reale a nude strutture, ma cercano di restituirne innanzitutto l'inesauribilità. Poi la discussione procedeva, l'obiettivo finale veniva spostato e cambiava anche lo strumento per perseguirlo, che di volta m volta diventa una rivista monografica e teorica, un almanacco di saggi scritti dai curatori della rivista, una panoramica di collaborazioni disparate, una rivista «archeologica» sulle tracce trascurate dalla storia ufficiale, un «Linus dei racconti», una rivista in cui ogni tema trattato potesse generare mia coppia di temi opposti, ognuno dei quali sarebbe stato soggetto di un numero successivo.... Per chi non abbia un'idea micologica del sorgere delle idee c'è un fascino particolare legato ai carteggi fra intellettuali e artisti impegnati in mi progetto comune (come quello fra Hoffmanstahl e Strauss), o ai verbali di riunioni come quelle freudiane ora pubblicate da Lavagetto, o i seminari dei surrealisti su argomenti come il caso, o lo humour o la masturbazione, o anche i verbali dì fondazione del gruppo di ricerca sui giochi e le strutture letterarie dell'OULIPO (a cui, per inciso, Calvino si sarebbe associato proprio dopo gli anni di Ali Babà, invece che inseguire il Nobel con opere compunte e caldicce, come oggi rimpiangono i posteri). Attualmente, con mi'università separata dalla vita culturale del Paese, con l'anatema morettiano sempre in azione («Il dibattito no!»), con le cattive attituchni conversazionali e retoriche nazionali il metodo dello scambio rimane confinato ai focus group del marketing e ai brain storming della pubblicità. E di ipotesi complessive non se ne parla più. Poco prima di morire, alla fine dell'ultimo (e il meno incipitario), dei libri di Calvino il signor Palomar scoprirà che il Modello dei Modelli non c'è. Gianni Celati ha tirato le conseguenze di una sua stessa affermazione, scritta a Calvino e a Neri il 31 ottobre del 1970, e diventata la Stella Polare del suo lavoro successivo: «Regola: appena ti metti a fare il sapiente anche un po' rovini l'effetto liberamente affabulatorio del tutto». Oggi Celati conclude la sua lettera a Riga: «Così noi abbiamo imparato ad accettare la deperibilità e l'instabilità profonda di qualsiasi forma di sapere». Stefano Bartezzaghi a cura di Mario Barenghi e Marco Belpoliti Marcos y Marcos pp. 322 L. 26.000 ALI BABÀ' riga n. 14 Gianni Celati

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