SILENZIO! PARLA BECKETT

SILENZIO! PARLA BECKETT SILENZIO! PARLA BECKETT Le conversazioni con Gussow CONVERSA' ZIONI CON (E SU) BECKETT Mei Gussow Ubulibri pp. 176 L 26.000 NFORMATISSIMO e pungente critico teatrale del New York Times, Mei Gussow non solo è riuscito a far parlare quello scontroso per antonomasia che è l'inglese Harold Pinter, ma ha addirittura espugnato quella Fortezza del Silenzio, che era Samuel Beckett. Tra il 1978 e il 1989, anno della scomparsa del premio Nobel francoirlandese, Gussow è riuscito a incontrarlo per ben nove volte sempre nella stessa città, nello stesso luogo, alla stessa ora: a Parigi, al Cafè Frangais dell'hotel PLM: «un caffè lucentemente moderno», nella cui «gelida impersonalità» Beckett «pareva riscaldarsi». Dopo il primo quarto d'ora del primo incontro, avvenuto per l'esattezza il 24 giugno 1978, Gussow chiese se poteva prendere appunti: e Beckett ribattè, deciso: «Ma questa non è un'intervista». Tutto lascia supporre che negli otto successivi incontri Gussow abbia ferocemente memorizzato tutto, per rifugiarsi di gran carriera nella propria camera d'albergo e trascrivere su un provvidenziale taccuino quanto aveva avuto il privilegio d'udire. Vestito quasi sempre allo stesso modo - giacche di tweed dai colori smorti, maglioncino a collo alto, piccoli occhiali tondi, sottili sigari neri - Samuel era il prototipo del parlatore «economico»: e, a complicar le cose, non provava nessuna esigenza di discorrere della propria opera. Gli piaceva con Mei discutere di tennis (era un grande tifoso della Navratilova) oppure delle scarrozzate, che faceva in campagna sulla sua Citroen 2CV vecchia di vent'anni: «Vecchia, ammaccata, ma una grande amica». Eppure questi incontri tra il grande scrittore ed un suo brillante critico sono di uno straordinario interesse: sembrano dialoghi tra antichi filosofi cinesi, che distillano rare verità, tra una lunga pausa e l'altra, dinnanzi a minuscole tazzine di the. E le confessioni di Beckett, proprio perché miniaturizzate, acquistano una rilevanza inversamente proporzionale. Beckett conferma d'aver ultimato Aspettando Godot nel 1949 (la data era discussa), ma che per quattro anni nessuno ne volle sapere: «Lo rifiutavano tutti. Era come abbondonarlo in portineria». Si lascia andare a tratti a illuminanti definizioni dei proprii personaggi: Didi e Gogò, Pozzo e Lucky, i quattro agonisti di Godot, «sono dei giocatori. Fanno dei giochi,... dei giochi di ruolo». Si concede persino confessioni radicali, tra amarezza e ironia: «Sono diventato uno scrittore perché ogni altra cosa è fallita». Questo doppio registro, dello humour e del disincanto, si infittisce sempre più, nei radi incontri, via via che il tempo trascorre: e il grande scrittore assume, anche nel corpo, i tratti che qualcuno di noi ha conosciuto: quelli di un Grande Rapace, una sorta di Aquila Solitaria, dagli occhi straordinariamente pe¬ netranti, il naso magro e incisivo, un altero ciuffo di capelli grigi. L'ultimo incontro tra lui e Mei avviene l'I 1 marzo 1989, alle cinque del pomeriggio, in una stanzetta disadorna di una casa di riposo («E non è la prima...»). La stanza è «nuda quasi quanto una cella». «Uno stretto letto, una scrivania, un tavolo, con sopra un dizionario e la copia scolastica della Divina Commedia con annotazioni di suo pugno...». Sul pavimento un televisore portatile, «sul quale continuava a seguire tennis e calcio». Mei, che doveva avere la disperazione nel cuore, postilla: «Stava eretto e all'erta come al solito, ma pareva una figura stoica e infelice». Fa sedere l'ospite sull'unica poltrona della stanza, lui s'accuccia sulla scrivania. «Mentre parlavamo, di colpo si alzò... e cominciò a camminare in giro per la stanza. Lo faceva per la circolazione? "No", fece lui, "è perché sono senza pace..."». Gli incontri sono arricchiti con sei molto franche conversazioni di Gussow con grandi interpreti beckettiani (c'è Billie Whitelaw, l'attrice inglese per cui scrisse Dondolo, c'è il regista americano Mike Nichols, che mise in scena Godot nel 1988 al Lincoln Center con Robin Williams, Steve Martin, Murray Abraham e Bill Irwin). E ci sono quattordici penetranti recensioni di Gussow ad altrettante edizioni o messinscena beckettiane, di qua e di là dall'Oceano. Pur proponendosi come un libro di memorie e di postille critiche, questa è un'opera di referenza, di cui suggerirei la lettura a certi giovani attori nostrani, che allestiscono Beckett come fosse un risaputo autore di repertorio. Guido Davico Bonino CONVERSA' ZIONI CON (E SU) BECKETT Mei Gussow Ubulibri pp. 176 L 26.000 SPLCZCpL

Luoghi citati: Aquila Solitaria, Fortezza, Parigi