DA INFERNO A INFERNO di Lorenzo Mondo

DA INFERNO A INFERNO DA INFERNO A INFERNO «Lo Spasimo di Palermo» di Vincenzo Consolo: un viaggio andata e ritorno tra Nord e Sud, egualmente irredimibili EGGO il romanzo di Consolo, Lo Spasimo di Palermo, e le impressioni che mi porto dietro s'incontrano e si chiariscono a un certo punto con le convinzioni del protagonista. Questo Gioacchino Martinez, scrittore sfiduciato, senza più vena, si ingegna a ricostruire sui documenti storici le prigionie parallele di Cervantes e del poeta vernacolare Antonio Veneziano, ad Algeri e a Palermo (due scrittori che sente, come se stesso, impediti di parlare). ((Aborriva il romanzo, questo genere scaduto, corrotto, impraticabile. Se mai ne aveva scritti, erano i suoi in una diversa lingua, dissonante, in una furia verbale ch'era finita in urlo, s'era dissolta nel silenzio». E' un buon viatico per entrare nel libro suo, di Consolo, dove invano si cercherebbe un percorso lineare, una trama precisa e conclusa, una idea sviluppata in modo rigoroso. Abbiamo invece dei blocchi narrativi, delle figurazioni erratiche che si impadroniscono della memoria, come un assillo cocente, una ferita che rimorde. C'è l'infanzia in Sicilia, con l l li tdh a guerra, le rappresaglie tedesche, bombardamenti alleati e, più tormentosa, la rissa dei sentimenti: il rancore per il padre vitale e spavaldo che non si piega alla morte della moglie (sarà il figlio a denunciare lui e l'amante? Hanno nascosto mi disertore e pagheranno con a vita), il precoce affetto per Lucia, inerme e solitaria come Chino. C'è l'adolescenza presso lo zio, botanico e poeta, che indovina nelle piante rare del suo giardino la mappa contrastata del mondo, asseconda la passione del ragazzo per lo studio e il suo amore per Lucia. E quando lei, diventata sua sposa, smarrisce la ragione davanti a un attentato di mafia, ripara a Milano, per guarirla, per trovare pace. Là il figlio Mauro cresce e matura in generose illusioni, costeggia inavvedutamente il terrorismo politico ed è costretto all'esilio in Francia: per rifarsi una vita e attutire il disinganno nei confronti del padre, di tutti i padri spiritualmente sterili, impotenti. Quel figlio si porta dietro un'atavica maledizione, è «segnato, come Lucia, come lui, dalla nascita nell'isola, nell'assurdo della storica stortura, prigione dell'offesa, deserto della ragione, dissolvimento di vite, d'ogni umano bene». Non è un caso (provo a interpretare una sequenza oscuramente allusiva) che lo stesso Gioacchino, sedotto dal mito letterario e cinematografico del giustiziere, sia seguito come un'ombra da un enigmatico personaggio, volgare e turpe, venuto di Sicilia: che gli si ritorce in immagine capovolta, beffarda, mafiosa, di vendicatore. Palermo, Milano e Parigi sono gli scenari in cui si svolge la sua affannosa ricerca. Ma il nerbo della storia sta nel viaggio da lui compiuto, andata e ritorno, tra Palermo e Milano. Lo attrae, nella capitale del Nord, la generosa ragione, il costume civile che ha saputo accomunare popolani e aristocratici, che si è espresso nella grande, illuminata stagione dei suoi scrittori: i Verri e Beccaria, Porta, Manzoni, Dossi e più giù, gli acculturati Montale, Vittorini, Sereni...Agli scrittori amati rende un commosso saluto, non soltanto ai «milanesi» ma anche al poeta veneto (Zanzotto) «rinchiuso nella solitudine di una pieve saccheggiata». Perché si trova immerso alla fine in una città di agguati e stragi, di stato d'assedio, di degradazione fisica e morale, di cupa fascinazione per il denaro. I lazza¬ retti della droga rispondono a quelli di manzoniana memoria, richiamano alla mente, nella comune curvatura spagnolesca, le turbe infette e cenciose che muovono processionalmente, a Palermo, da Santa Maria dello Spasimo. E allora si torni nell'isola, a cercarvi un profilo di volto, di casa o di pianta, a ricomporre desiderio e memoria, sofferenza e rimpianto. Ma Palermo è irriconoscibile, mutata in peggio, ben oltre le miserie e gli orrori di un tempo. La lettera di confessione, misericorde ed espiatoria, che sta scrivendo al figlio lontano è interrotta dall'esplosione che devasta la casa di fronte. E' caduto un altro magistrato, uno di quelli che non si arrendono (è facile riconoscere in lui, con un sospetto di cronistica intrusione, il giudice Borsellino). Si tratta dunque di un percorso da inferno a inferno, senza più requie, senza altra speranza che non sia quella di un irato Dio vendicatore. Il viaggio rivela dunque la sua inutilità. Ne troviamo un indizio esterno nell'alter ego di Gioacchino, e cioè lo stesso autore, che ha rinunciato a tornare nonostante i propositi espressi qualche tempo fa. Lo ha fatto idealmente, e traumaticamente, con questo libro di aspra passione civile, sul filo di una melopea in cui fa le migliori prove il linguaggio di Consolo: quella pronuncia franta e balenante, sontuosa e pezzente, cumulata di cose, sensazioni e parole, di frasi brevi, ritorte e contratte. Una contrattura dolorosa che ha bisogno di alleviarsi in grido. Lorenzo Mondo Un'infanzia e un 'adolescenza siciliane, mafia e terrorismo, un atavica maledizione, il disinganno verso i padri Vincenzo Consolo LO SPASIMO DI PALERMO Vincenzo Consolo Mondadori pp. 131 L 25.000