Nella gelida Sherwood dei profughi di Giuseppe Zaccaria

Nella gelida Sherwood dei profughi TRA IL POPOLO DELLE FORESTE Nella gelida Sherwood dei profughi L'inverno non ha aspettato la scadenza dell'ultimatum KISHNAREKA DAL NOSTRO INVIATO Nell'arco di una notte il clima balcanico ha virato verso l'inverno e adesso il gelo taglia la faccia, sospinto da quel vento che qui chiamano «aciar», aria di ghiaccio. Sul fango già pietrificato, dai teli stesi fra gli alberi pendono stalattiti trasparenti. C'è poca vita oggi in cima alla montagna: qualche lamento di bambino che filtra ovattato dalle tende, qualche irato rimprovero di voci femminili. Nel campo profughi che fino a poche settimane fa era il più grande del Kosovo adesso anche l'esistenza degli umani pare congelata. Basta con i discorsi, le riunioni, i fuochi accesi all'aperto. A luglio, quando l'offensiva serba spazzava via i nuclei dell'«Uck», questo posto era sembrato una rocca, un'isola fresca e sicura. Una sorta di foresta di Sherwood per fuggitivi e guerriglieri che si ponevano come altrettanti Robin Hood, protetti dal fresco delle fronde e dalla vista che domina la vallata. Adesso di colpo tutto si riduce a livello primario, quasi animale. Quel che conta è restare al riparo, sopravvivere nel tanfo della tana, scaldarsi l'uno sul corpo dell'altro. Coraggio, allora, riapriamo gli occhi su queste tribù primitive. E' inutile volgere lo sguardo altrove, pochi giorni «E' incouna stterribile,morti de minciata agione sono già i bimbi» ancora e le immagini di questi spettri invaderanno le case attraverso le tv di tutto il mondo. Le organizzazioni umanitarie dicono che sono 250 mila, sparsi per tutte le foreste del Kosovo, le autorità serbe li valutano in 60-80 mila. Da oggi comunque tornano ad essere il vero centro della storia. L'emergenza torna ad avere iloro volti, non più quelli di politici o generali. Ma per beffarda coincidenza la partita politica giocata con cinismo sulla «tragedia umanitaria» si chiude proprio nella notte in cui è l'inverno balcanico ad aprire l'emergenza più profonda. In questo campo duemila persone si sono appena svegliate ad una temperatura di due gradi sopra lo zero. Questa mattina il sole fa risplendere le stalattiti di ghiaccio ma basterà una nuova precipitazione e tutto il Kosovo sarà ricoperto di neve. I convogli umanitari erano stati sospesi per timore della guerra, adesso per riattivarli davvero ci vorrà al meno una settimana. E fra una settimana questi sentieri sa ranno impraticabili, questa gente comincerà ad allineare i morti lungo le spianate. In questa parte del campo, Adem Sedajti sembra il capo clan. Racconta di un gruppo fuggito dal villaggio di Trste nik ai primi giorni di luglio e poi sospinto da sparatorie successive, incalzanti ondate di paura fino a quassù. «E sono morti due bambini, nel frattempo: stenti, alimentazione sbagliata, malattie infantili, mancanza di medici...». L'ultimo camion che portava farina, riso e acqua minerale è passato da qui il 28 di settembre. Le riserve sono quasi esaurite. Qualche piccolo approfittatore comincia a sfruttare l'emergenza: in lontanan¬ za si vede un camioncino che arranca in direzione dei profughi. Metterà in vendita riso, farina e sigarette a prezzi quadruplicati. Dai teli grigi che punteggiano la montagna di Kishnareka si levano fili di fumo: «Per fortuna abbiamo tagliato in tempo la legna, l'abbiamo fatta seccare. Almeno per qualche settimana potremo accendere i fuochi, anche se non troppi, perché dentro le tende si soffoca». Adesso nella tenda più grande si sta cucinando. Il terreno è coperto da qualche tappeto lercio, carta di giornale e molti stracci, sul fuoco circondato da sassi bolle una «ciorba», la tipica zuppa balcanica dagli ingredienti ancora più imperscrutabili del solito. A distan- za non proprio di sicurezza c'è l'area destinata a latrina: una siepe di rovi da dietro cui si spande un lezzo terribile. Ma perché in condizioni simili non tornare a valle, non riprendere possesso delle case? «Quali case? Sono tutte bruciate, oppure le hanno fatte saltare». Guardi che non è così, signor Sedajti: ci sono case bruciate ma moltissime altre, forse il 95 per cento, sono ancora in piedi. No, è tutto bruciato. E mentre il vecchio insiste ecco comparire tre o quattro giovanotti che con aria decisa insistono: sì, tutto è andato bruciato, distrutto, lo abbiamo visto noi, abbiamo visto i serbi che occupano ancora il villaggio ed aspettano solo che qualcuno torni per poterlo uccidere. Nell'ampio giro che abbiamo dovuto compiere per arrivare fin qui, quasi due ore di strada, avevamo incontrato dei reparti serbi di polizia, ma piuttosto raramente. Anzi, l'intera area a Sud-Ovest di Pristina appariva sgombra, coi resti di posti di blocco tolti da tempo. Una sola regione, quella di Skenderaj, resta pattugliata più intensamente ma nei villaggi che abbiamo attraversato i poliziotti serbi perlustravano a coppie strade deserte. E' inutile però tentare di convincere questa gente. Insistendo, anzi, si ottiene solo di veder aumentare la partecipa- «TornarnostreI serbi leincendia e nelle case? e hanno te tutte» zione al discorso dei giovanotti, cui se ne sono aggiunti altri che indossano ancora le tute mimetiche. «Mi sa che ti mandano i serbi...», continua a dire uno. Contrastare questo servizio di sorveglianza comincia a farsi pericoloso. E' abbastanza chiaro che ciò che resta dell'«Uck» si è mimetizzato tra i profughi, gettando forse la divisa ma mantenendo un rigoroso controllo sugli eventi. Questa massa disperata di profughi non è tenuta in ostaggio solo dal terrore dei serbi e dell'inverno che incombe. In qualche modo è ostaggio anche dell'«Uck» che oggi, e l'orse per tutto l'inverno, non avrà altre leve politiche da impugnare. Ci vorranno settimane, forse più di un mese perché i duemila «verificatori» internazionali possano arrivare da queste parti ed iniziare un lavoro di qualche efficacia. Fino a quel momento la situazione non farà che peggiorare. Non ci sono stati raccolti, quest'anno, in Kosovo. Non ci sono scorte. Per mesi qualsiasi attività è stata interrotta, le case vuote sono state saccheggiate. Non c'è più nulla, tranne la neve che si appresta a cadere sul ricatto di violenze incrociate. Neanche i missili della Nato avrebbero mai potuto produrre una simile devastazione. Giuseppe Zaccaria b «E' incominciata una stagione terribile, sono già morti dei bimbi» i il «Tornare nelle nostre case? I serbi le hanno incendiate tutte»

Persone citate: Adem Sedajti, Robin Hood

Luoghi citati: Kosovo