Prodi torna al Colle per dire no di Alberto Rapisarda

Prodi torna al Colle per dire no Dopo una giornata di vertici, l'Udr boccia il preincarico al Premier uscente; Prodi torna al Colle per dire no iel 21 aprile non c'è più maggioranza ROMA. L'Udr rifiuta di dare i suoi j voti a Prodi (il tentativo «è negati1 vamentc concluso») c così il «quasi j preincarico» dato martedì 13 da | Scalfaro all'ex presidente del Consiglio, si conclude negativamente dopo appena 24 ore. Oggi Romano Prodi dovrebbe salire al Quirinale per rinunziare. La causa ufficiale della rottura è che il gruppo cossighiano ha considerato una provocazione 0 fatto che Prodi abbia convocato ieri i rappresentanti dell'Ulivo. E questo, malgrado i segretari dei partiti dell'Ulivo avessero certificato ufficialmente (tra le proteste urlate di Antonio Di Pietro, che era presente) che la maggioranza che vinse le elezioni del 21 aprile 1996 «è venuta meno nel momento in cui Rifondazione comunista ha subito un processo di scissione». E malgrado anche il consenso dato da Massimo D'Alema perché Prodi tentasse un governo «parzialmente o totalmente nuovo». Cioè, cambiasse anche ministri diessini. Di latto, l'alleanza del centrosinistra aveva dato via libera alle principali richieste dell'Udr: certificare che l'Ulivo ò morto, chiedere i voti all'Udr e prepararsi a fare un governo con molti ministri nuovi. Non una semplice riedizione di quello appena battuto. Ma i cossighiani hanno preso a pretesto la convocazione del vertice dell'Ulivo per tirarsi indietro. Probabilmente per evitare la scissione dell'ala filo-polista, che incombeva minacciosa. E così l'Udr chiude la porta all'operazione avviata da Francesco Cossiga assieme al segretario del Ppi, Franco Marini, per creare una situazione porcamente più vantaggiosa per i vari centristi. Ma i cossighiani non si tirano indietro rispetto ad un altro candidato. Così il gioco ricomincia da capo, sotto la guida del capo dello Stato, dopo la sorpresa del ritomo in scena di Prodi così rapidamente archiviata. L'Udr resta disponibile a valutare altri candidati alla presidenza del Consiglio, ha spiegato Cossiga e, «come ultima ratio, un governo istituzionale che potrebbe essere affidato a Mancino o a Violante». «Sarebbe un crimine andare alle elezioni», ha concluso Cossiga. Pronta la risposta del deluso Franco Marini, che lo rimprovera di «non fare nulla per evitare le elezioni». Cossiga ha definito «una menzogna colossale» la voce secondo la quale l'Udr ha silurato Prodi per la seconda volta perché non ha ottenuto i ministeri che chiedeva. Già Clemente Mastella, segretario e plenipotenziario dell'Udr, aveva dovuto assicurare che loro non chiedevano «né ministri, né tecnici». Appariva chiaro, ieri sera, che i dirigenti dell'Udr faticavano a dare una spiegazione lineare del loro no a Prodi. Cossiga sostiene che si erano mossi verso l'area di governo perché consigliati da Marini e D'Alema. Con l'obbiettivo di ottenere un governo nuovo. Mastella, che è parso il più determinato a chiudere la partita, ha concluso una sua dichiarazione rilevando, stranamente: «Tra l'altro Prodi non ha neppure risposto alle nostre richieste...». Quasi che si aspettasse ancora una qualche risposta.: V 01 L'abbandono dell'Udr ha lasciato di sasso i popolari di Marini, artefici principali della manovra di aggancio di Cossiga. Nella notte i popolari erano riuniti per riflettere sul da fare. Marini ha avviato nuovi contatti a tutto campo con la speranza di tenere in piedi ancora il tentativo di Prodi. Ma da Palazzo Chigi gli hanno detto che Prodi è determinato a non insistere dopo l'inspiegabile comportamento dell'Udr. Ora il passaggio diventa delicato, perché Scalfaro aveva avvisato i capigruppo dell'Ulivo che, dopo Prodi, gli avrebbe concesso una sola «cartuccia» da sparare prima di andare alle elezioni. Scalfaro potrebbe ora avviare un veloce giro di consultazioni, forse per telefono, per decidere poi a chi affidare il compito di cercare una maggioranza in Parlamento. L'Ulivo tornerebbe a puntare su Carlo Azeglio Ciampi, come aveva fatto prima del ripensamento di Prodi. Ma prende forza anche la formula «istituzionale», preferita dal Polo, dall'Udr e dalla Lega. In questo caso i candidati naturali sarebbero i presidenti delle Camere, Mancino e Violante. Berlusconi, Fini e Casini avevano capito prima di tutti che il tentativo di Prodi sarebbe fallito, ben sapendo che le loro pressioni sull'Udr stavano ottenendo l'effetto desiderato. «Le trattative UlivoUdr sono destinate a fallire», assicurava alle 19 Casini. Proponendo «una sorta di armistizio per adempiere alle contingenze istituzionali e internazionali sul tappeto». Fini arrivava a parlare di «governo di garanzia o governo di coalizione». Berlusconi, soddisfatto, ha apprezzato che l'Udr abbia «riaffermato con la forza di un comportamento coerente la validità del principio della fedeltà al mandato degli elettori». Alberto Rapisarda Berlusconi plaude al Picconatore: comportamento coerente con il voto degli elettori

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