Bugie la scienza necessaria di Umberto Eco

Bugie la scienza necessaria Dalla Bibbia alla Casa Bianca: una nuova disciplina, «l'ingannologia» Bugie la scienza necessaria AILL'INIZIO era la bugia. Nasce con l'apparizione dell'uomo nel mondo, governa le nostre sorti da mi Igliaia di anni. Senza bugie non esisterebbero la storia, il progresso, le relazioni sociali. Si fermerebbe il commercio, dovrebbero chiudere tutte le televisioni, private di ogni spot pubblicitario; la maggior parte dei politici dovrebbe cambiare "mestiere; perderebbe senso il vocabolario. Lo sa bene Umberto Eco, che dedica al tema il suo prossimo libro, Tra menzogna e ironia (uscirà il 28 ottobre), per mettere in luce le ambiguità del nostro linguaggio letterario, scientifico e quotidiano. Ma una dottrina della bugia, un «Esprit des mensonges», illuminante, com'era stato l'Esprit des lois di Montesquieu all'inizio dell'era moderna, e probabilmente più necessario, fino adesso non esisteva. Viviamo nella civiltà di Pinocchio, che esporta il più italiano dei prodotti fino alla Casa Bianca, e non abbiamo ancora saputo dare un fondamento scientifico a questa nostra decisiva virtù. Ci provano ora a gettare le basi due studiosi, uno psicologo e una docente di linguistica che chiedono, con buoni motivi, di istituire la nuova disciplina della Ingannologia: destinata, crediamo, a generare molte cattedre universitarie, attirare folle di discenti. Ricordiamo i nomi di questi due pionieri, sperando che non siano essi stessi mendaci: Cristiano Castelfranchi e Isabella Poggi, ingannevoli perfino nel loro significato letterale; con quei «franchi», cioè certi e quel «poggi», cioè saldi, su un terreno così consapevolmente sdrucciolevole. Il loro libro, Bugie finzioni sotterfugi Per una scienza dell'inganno, in uscita dall'editore Carocci, ci dà una sola certezza, che della bugia, per vivere, non si può fare a meno. Gli autori hanno molto rispetto per la verità della menzogna, fin dall'esordio: «Non sappiamo se il primo ingannatore sia Dio o Eva o il serpente, ma per certo era una per- sona d'ingegno». E la ingannologia che essi propongono non è una scienza qualsiasi. E' la madre di tante scienze e della maggior parte delle attività umane: non solo di quelle sospette, come l'astrologia o la fisiognomica, ma di altre citate con riguardo nei salotti perbene, come la statistica, la psicoanalisi, la futurologia; senza dimenticare la meteorologia, la dietetica e, ahinoi, il giornalismo. Attenzione, però, ci avvertono i due ingannologi, facendo ricorso ai testi più sacri, dal De mendacio di Sant'Agostino all'Elogio della menzogna di Celio Calcagnali. C'è una profonda differenza fra il falso e l'inganno. Se il nostro vocabolario usa più di 300 parole per indicare le varie strategie della bugia, qualche ragione ci sarà pure. «Non mente Tolomeo quando sostiene che la Terra è immobile perché lui è il primo a esseme sinceramente convinto». Analogamente, se un passante mi chiede l'ora e io gli dico che sono le 7 meno un quarto perché ho l'orologio in ritardo, non lo inganno, anche se gli faccio perdere il treno (dopo, me la dovrò vedere io con il passeggero inferocito, se lo incrocio davanti alla stazione). Perché ci sia menzogna reale bisogna dire il falso sapendo che è falso e, soprattutto, convincere l'interlocutore - cosa mica tanto facile - che quel falso è vero. Grande arte la menzogna, come sa il busiaro Lelio, nella commedia di Goldoni; o Totò, quando cerca di vendere la Fontana di Trevi al turista americano. I potenti hanno con sé le armi, il denaro; gli straccioni cercano di difendersi come possono. Bugie povere, che nessuno si sente di condannare. Altro smalto le bugie dei potenti, che non disdegnano di servirsi dell'inganno per difendere il proprio molo. I due ingannologi non citano i Grandi Bugiardi dei nostri anni, da Clinton ai tanti politici italiani, che si possono leggere in filigrana nella loro analisi. Sono menzogne le promesse elettorali non mantenute? Ricordiamo tutti il milione di posti di lavoro, nel '94. E' menzogna da parte di un governo smentire mia svalutazione che si farà il giorno dopo? In Italia è successo, nel settembre '92. E il presidente del Consiglio in carica, Giuliano Amato, giustificò pubblicamente quella dura necessità. C'è l'inganno arrogante, che il potere usa scegliendo un linguaggio incomprensibile al pubblico, come il latinorum di don Abbondio: quella che i due autori chiamano «cripticità mendace», usata soprattutto nella stesura di contratti, leggi, regolamenti. E c'è la menzogna assoluta, ai limiti della follia, come quella di Goering per negare un attacco aereo sulla città di Aquisgra- na: «Dichiaro ufficialmente che i caccia americani non hanno raggiunto Aquisgrana e vi dò pertanto l'ordine che essi non erano là». Abbiamo un diritto alla verità, nonostante tutto, come Castelfranchi e la Poggi ricordano, propugnato da Grotius un secolo e mezzo prima dei Diritti dell'uomo, Ma abbiamo anche, sempre più frequente, un diritto alla menzogna, per salvare molte situazioni. L'inganno può essere consensuale: conio quello «tra due coniugi che ammettono l'infedeltà dell'altro ma lo obbligano a non dirlo e a non farsene accorgere». In qualche caso, come in certe malattie, non sapere, o sapere il falso, è gradito, quasi richiesto: «Vi è una sorta di inganno per autoinganno. Fa parte dei meccanismi della mente umana difendersi dalle conoscenze sgraditi; e dolenti». Nella vita di gruppo un po' di menzogna è necessaria, lui una motivazione sociale. Che cos'è la cortesia, se non finzione? «Tu mi fai un regalo che a me non piace; ina a me lui chi dispiace dispiacerti, desidero che tu sia contento. Perciò laccio finta che mi piaccia». Guai se dicessimo sempre, in faccia a tutti, la verità. Faremmo inutili dispetti, multipli ciberemmo i rancori, non si vivrebbe più all'interno di una casa. E quanto bon tnn c'è in (niella forma di semi-menzogna che è la allusione. Gli ingannologi mostrano di apprezzare tutta la sottigliezza e il senso civico di invita lei per una serata intima: «Vuoi venire a veliere la mia collezione di farfalle?». Forse le farfalle ci sono davvero, in qualche stanza nascosta dell'alloggio. Certo, la speranza è che non si passi proprio tutta la serata davanti alle vetrine dei lepidotteri. L'importante è che lei non si senta l'are una domanda brillale, che possa accettare la finzioni; in grado di ingentilire l'invito. Chissà che poi non guardino proprio le farfalle. La vera bugia pericolosa è altra, è quella che dicono gli adulti ai bambini. «Non si devono dire le bugie. Se dici le bugie ti si allunga il naso come quello di Pinocchio». E' un paradosso logico, molto istruttivo: «Con le parole ci si ingiunge di non mentire, mentre nell'atto stesso con l'esèmpio ci si insegna a mentire». Non si sfugge alla menzogna, nemmeno quando si cerca di combatterla. All'inizio era... già, cosa c'era all'inizio? Giorgio Calcagno E Umberto Eco dedica il suo prossimo saggio alla menzogna per mettere in luce le ambiguità del nostro linguaggio una nuova dica na varie strategie della bugia, qualche ragione ci sarà pure. «Non mente Tolomeo quando sostiene che la Terra è immobile perché lui è il primo a esseme sinceramente convinto». Analogamente, se un passante mi chiede l'ora e io gli dico che sono le 7 meno un quarto perché ho l'orologio in ritardo, non lo inganno, anche se gli faccio perdere il treno (dopo, me la dovrò vedere io con il passeggero inferocito, se lo incrocio davanti alla stazione). Perché ci sia menzogna reale bisogna dire il falso sapendo che è falso e, soprattutto, convincere l'interlocutore - cosa mica tanto facile - che quel falso è vero. Grande arte la menzogna, come sa il busiaro Lelio, nella commedia di Goldoni; o Totò, quando cerca di vendere la Fontana di Trevi al turista americano. I potenti hanno con sé le armi, il denaro; gli straccioni cercano di difendersi come possono. Buie pere che nessuno si senv' /9 /v / /v / Qui sop Qui sopra Bill Clinton, in alto Totò a sinistra Umberto Eco

Luoghi citati: Italia, Trevi