E' una partita tutta Dc E i Ds restano a guardare di Augusto Minzolini

E' una partita tutta Dc E i Ds restano a guardare E' una partita tutta Dc E i Ds restano a guardare CROMA ON quei modi e con quella visione del mondo - rispettabili ma non certo affini ad un sistema bipolare - si può anche far convivere, come è successo, il diavolo con l'acqua santa. Ebbene, più si assiste a questa crisi di governo, ricca di colpi di scena e di passaggi strani come quello di un ex capo dello Stato (Cossiga) che promuove un giro di consultazioni parallelo a quello del Capo dello Stato in carica (Scalfaro), e più ci si accorge che si sta giocando una partita particolare, una partita tutta democristiana. Sul campo, quello vero, infatti, ci sono solo ex de o nuovi de come Romano Prodi e Franco Marini, Francesco Cossiga e Clemente Mastella. Gli altri stanno a guardare, ignari. Con Massimo D'Alema che viene a sapere solo all'ultimo momento che Prodi ha deciso di accettare l'incarico di formare il governo. Con Carlo Azeglio Ciampi che si scalda i muscoli invano. Con Walter Veltroni che stando a Palazzo Chigi è più avvezzo ai modi di fare dei de, e non ha problemi, quindi, a trovare un modo, magari non del tutto veritiero, per dire agli altri ministri che Prodi ci proverà: «Ciampi ha detto di no, la situazione è senza sbocchi, per cui Prodi tenta di fare un nuovo governo con la stessa lista di ministri...». Osservano, gli altri, da spettatori. Al massimo sono tifosi, oppure vittime ignare Il più delle volte non capiscono le giocate, i dribbling, non prevedono le mosse che si susseguono nella partita Una partita che si gioca tutta sulle minacce, sulle lusinghe ma, soprattutto, su un comu ne sentire. Ecco perchè in un certo senso ha ragione Cossiga a dire che la Democrazia Cristiana è tornata e non ha torto a reintrodurre le cate gorie - solo in apparenza ana cronistiche - degli eretici de (Prodi), degli amici della de (Dini), dei dc-dc (Mancino) dei nemici della de (Ciampi) Già, gli spettatori non capi scono, ma gli altri giocatori SI. In fin dei conti, l'unico che ne comprende il senso è Oscar Luigi Scalfaro, che in fondo viene da lì, anche lui è stato democristiano. Solo grazie a quella esperienza il Presidente può tentare di districare la matassa in cui si è avvolta la crisi. Lo fa alzando la voce e dispensando consigli, magari accettando quel gioco in assenza di un altro. L'altra sera, a cena, ha rimproverato Prodi per l'atteggiamento tenuto finora. Ieri ha posto i capigruppo dell'Ulivo davanti alle loro responsabilità. I partecipanti all'incontro hanno descritto nei minimi particolari l'insofferenza del Capo dello Stato. «Questa crisi - hanno sentito dire all'inquilino dell'alto Colle - per come si è aperta e per come è stata condotta è del tutto incomprensibile alla gente. E' venuta fuori la fanghiglia della politica. O si fa un governo subito, o sciolgo e si va al voto. Non si può andare avanti con tre, quattro tentativi». E ancora: «Io non mando in Parlamento un presidente che non abbia una maggioranza verificata prima». Eppoi suggerimenti su suggerimenti: il problema della legge elettorale è reale; non lasciate cadere le aperture della Lega; pensate ad assicurare un governo che approvi la finanziaria, la verifica la farete dopo, se sarà necessaria. Consigli ai rappre sentanti dell'ex maggioranza, ma anche all'è sploratore Prodi: il presidente del Consiglio dimissionario non vuole cambiare i ministri del governo passato e l'altro, allora, gli fa capire che qualche nome nuovo lo dovrà pur fare. Del resto, come si può chiedere a un democristiano di appoggiare un governo senza dare in cambio un ministero, o la nomina di un sottosegretario? E' un nonsense, gli si richiede un comportamento contro natura. Per cui si può trattare sul quanto, ma non sul niente. Si può dividere l'Udr accontentando alcuni e scontentando altri come teorizza Gianclaudio Bressa consigliere di Prodi («puntiamo sui mastellati»). «Ma non si può certo pretendere - come avverte Mastella - di avere tutto gratis». Si può, insomma, dire di no a Paolo Savona e Pellegrino Capaldo, candidati di Rocco Buttiglione, ma si deve dire di sì a qualcun altro, magari della provincia di Benevento. Su questo sfondo, ognuno recita la sua parte. Prodi giura che non cambierà niente. Cossiga promette che se il «preincaricato continuerà a comportarsi così, si beccherà un pre-no». Marini è sicuro, dice «che si può fare». «Io li conosco bene - spiega - lì dentro qualcuno mollerà». Mastella risponde con furore ai no di Prodi («siamo dei geni della politica, se tutto va per il verso giusto abbiamo distrutto l'Ulivo e scisso Rifondazione»), ma intanto affida al telefono ad un altro ex de, a Renzo Lusetti, che ora sta nel Ppi, un messaggio per il presidente-esploratore: «Digli di non fare scherzi, di non esagerare». In fondo in fondo hanno già vinto loro, tutti i de, occupando completamente al scena. Romano Prodi, che ormai è insofferente al pullman, si è reso conto all'ultimo momento che accettare quell'incarico era l'unico modo per restare in gioco, per poter contendere ancora a D'Alema oggi palazzo Chigi e domani la candidatura per la premiership. Marini ha evitato Ciampi. Cossiga e Mastella sono ad un passo dal governo. Adesso se la vedranno tra loro, sperando che torni in auge una una vecchia legge: quella per cui i democristiani non si ammazzano mai tra loro. E, comunque, se uno di loro fallisce, magari Prodi, vinceranno pur sempre gli altri. Augusto Minzolini Scalfaro deciso: o si fa un esecutivo subito, oppure io sciolgo le Camere: non si può andare per tentativi E Mastella esulta: siamo dei geni della politica: abbiamo distrutto l'Ulivo e scisso Rifondazione

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