Fusi: squadra ok, missione fallita di Gianni Romeo

Fusi: squadra ok, missione fallita Fusi: squadra ok, missione fallita «Un solo errore, temevamo di più Armstrong» MAASTRICH DAL NOSTRO INVIATO Si sono sacrificati tutti per Battoli, persino l'indisciplinato Tafi, temuto come una mina vagante nel clan azzurro. Ma Battoli non ha vinto. Perciò hanno perso tutti, perché la missione è fallita. Si sentono traditi dal capitano, gli altri? Hanno lavorato invano per un'idea che si è persa nel cielo grigio di Valkenburg? Proprio Tafi, la punta numero due, sgombra il campo dalle polemiche: «Non avrei potuto fare di più, non avrei potuto vincere anche se avessi corso pensando esclusivamente a me stesso». Il clan azzurro sembra un gruppo di bravi scolaretti che è stato catechizzato a dovere. Nessuna critica a nessuno, tutti buoni e bravi. Se polemiche dovranno affiorare, forse succederà dopo aver digerito la delusioni. A mente fredda, qualcuno scoprirà che la recita non è stata poi così perfetta, visto che la squadra azzurra era considerata da tutti il blocco più potente in campo ma ha raccolto poco. Tafi, a chi gli chiede perché a due giri dalla fine quando il gruppetto dei quattordici si è spezzato in due non è andato addosso ai primi, risponde quasi meravigliato della domanda: «Perché non ho il motorino, non ce la facevo più. Non per difendere Battoli». Ecco il tema del giorno. Gli azzurri non ce la facevano più. Mentre nel momento della verità c'erano avanti due svizzeri, Bartoli è rimasto solo. Dov'erano i tanto attesi Rebellin, Zanini, Celestino, Bugno? A fare un inutile catenaccio contro nemici inesistenti. Anzi, Zanini era già andato ai box, spompato da una lunga fuga mattutina. Viene chiamato in causa l'esordiente commissario tecnico Antonio Fusi, tatticista quasi maniacale, che aveva studiato a tavolino ogni particolare, che muoveva via radio la sua scacchiera convinto di mantenere cos'i la corsa in pugno. Se Zanini, e con lui Bugilo, non fossero stati mandali allo sbaraglio all'alba, non avrebbero fatto comodo poi alla fine? Fusi, 42 anni, erede di Alfredo Martini, non scarica le sue responsabilità: «Questa è un'analisi a posteriori e come sempre si presta a una lettura diversa dai propositi. La tattica prevedeva una fuga iniziale per tenere la corsa viva, per obbligare gli altri a tirare, per consentire a due corridori audaci e pericolosi come Bugno e Zanini di avere una chance. Ma gli altri hanno capito, hanno preso maledettamente sul serio l'iniziativa e l'hanno stoppata dopo una lunga battaglia. Però poteva benissimo andare diversamente: un po' di surplace del gmppo, e si poteva arrivare a cinque o sei minuti di vantaggio. Bugno e Zanini sarebbero diventati dei favoriti, gli altri avrebbero dovuto sostenere uno sforzo tremendo per rimediare. Con vantaggio di Baitoli e degli altri». I giornalisti insistono. Ma perche bruciare subito Bugno e Zanini, non Donati e Celestino o Rebellin? Soprattutto in una squadra che aveva perso prima della partenza Simeoni influenzato, che per via di regolamenti antiquati non aveva potuto essere sostituito da Velo e quindi regalava un uomo agli altri? Perché lasciare Battoli solo? Fusi risponde con una battuta inattesa, visto che il suo viso non è dei più sereni: «L'operazione è riuscita, il paziente è morto. Ogni mossa è andata a buon fine, abbiamo investilo sul più forte. Chi non avrebbe firmato in partenza di avere Bartoli e Tafi nella fuga decisiva, poi Bartoli avanti con un paio di compagni d'avventura?». Ma era caduto, risponde qualcuno, non c'erano garanzie sulla sua condizione. «C'erano, c'erano. Gliele avevo chieste via radio. Mi aveva risposto lutto ok, sono ammaccato ma sto bene. Se un piccolo errore abbiamo fallo, io e lui insieme, è stato quello di tenere troppo d'occhio Armstrong e troppo poco Camenzind. Ma Armstrong al terz'ultimo giro aveva scalato il Cauberg alla grande, sembrava davvero il più Fresco...». Con questo Mondiale inserito in una data che i più considerano folle, sembra inevitabile che chi coltiva ambizioni serie vada prima a correre la Vuelta di Spagna. Dei primi sei arrivati, soltanto Bartoli non ha partecipato a quella gara a tappe. Ma anche qui Fusi non è d'accordo: «Ogni corridore si sceglie il suo programma. Non credo che la Vuelta sia una penitenza necessaria per conquistare l'iride». L'ultima battuta spetta a Gianni Bugno, che chiude la carriera a 34 anni dopo aver disputato 12 Mondiali: «Ci avrei tenuto molto a finire come avevo iniziato, quando nell'86 corsi la mia prima gara iridata, e vinse Argentiti. Mi spiace, auguri a chi continua». Gianni Romeo d' t l La sfortuna si è accanita contro Bartoli: un problema ai freni, una foratura, il cambio di bicicletta (a lato) ed anche una brutta caduta in discesa. Nella foto a sinistra il capitano azzurro in azione

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