Il campione, guastatore improvvisato di G. Ro.
Il campione, guastatore improvvisato Il campione, guastatore improvvisato «Aebersold mi ha detto: provaci tu, io sono stanco» MAASTRICHT DAL NOSTRO INVIATO Oscar Camenzind ha un viso che sprizza furbizia. L'orecchino d'oro al lobo sinistro e i capelli biondi tagliati corti lo fanno sembrare un teenager, non dimostra i suoi pur verdi 27 anni. Era, fino a ieri, considerato piii un uomo da corse a tappe che non il guastatore di un giorno. Nel suo palmarès appare soltanto un successo degno di nota, il titolo svizzero la scorsa stagione, nel 1997, mentre quest'anno era arrivato quarto al Giro d'Italia pur essendo stato costretto a perdere parecchi minuti preziosi per aspettare il suo capitano Tonkov sulla Marmolada. Aveva corso il Giro con la Mapei, squadra di Bugno, Tafi, Zanini, Nardello, Faresin anche. Cinque azzurri ieri in gara. Insomma, avrebbero dovuto conoscerlo bene... E non solo loro, perché due anni fa ai Mondiali di Lugano fu lui a promuovere la fuga che mise fuori gioco gli azzurri. Un coraggioso, che sa espri¬ mere il meglio di sé in pianura. Quando riesce a fare «il buco», difficilmente viene ripreso. Camenzind racconta così la sua avventura: «Ho detto al mio compagno di squadra Aebersold, quando ci siamo trovati a fianco verso la fine, che qualcosa dovevamo tentare, altrimenti in volata gli altri ci avrebbero fregato. Non era una tattica prestabilita, la nostra: tutto è avvenuto un po' per caso. Lui mi ha risposto provaci tu, io sono un po' stanco. Ci ho provato, é andata». Chiedono a Camenzind se il Mondiale era il suo obbiettivo della stagione, e come ha fatto ad arrivarci così in forma. Risponde che il Mondiale è l'obbiettivo di tutti i corridori. E, in quanto alla forma, dice che l'ha trovata via via alla Vuelta. «Ho fatto quella corsa a tappe, per fortuna mia», sono le sue testuali parole. Bartoli e Tafi invece no... Nella prossima stagione Camenzind lascerà la Mapei per passare a un'altra formazione italiana, la Lampre, guidata da Pietro Algeri e Beppe Saronni. L'Italia avrà almeno la maglia iridata in casa, anche se indossata da uno svizzero... Ma il corridore che ha ricevuto piii applausi, ieri, è stato senza dubbio Lance Armstrong, l'americano. Quarto, come quarto era stato nella gara a cronometro. Sempre ai piedi del podio, sempre felicissimo. «Sì - dice - felicissimo a due anni esatti dall'operazione di cancro. Non avrei mai detto di essere protagonista qui. Nei primi giorni della malattia pensavo di non poter più correre in bici e mi dispiaceva. Poi ho capito che la mia era una battaglia per la vita, non per la bicicletta. Ecco perché sono comunque felice». Che ne dice di tutti quegli applausi, dell'affetto della folla nei suoi confronti? «E' normale - risponde l'americano - perché tutti vedono in me qualcosa più di un corridore. Ma non devo farmi frastornare dalla popolarità, devo stare molto attento. Non posso abbassare la guardia, perché la mia battaglia non è ancora finita». [g. ro.]
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