Brook, i labirinti della memoria di Masolino D'amico

Brook, i labirinti della memoria Il regista a Milano con lo spettacolo su un «fenomeno» russo Brook, i labirinti della memoria In scena 6 eccellenti attori MILANO. Por il secondo capitolo della sua illustrazione teatrale dei tentativi di comprendere i meccanismi del cervello umano Peter Brook, che aveva già ricavato uno spettacolo da un famoso libro di Oliver Sacks, si è rifatto allo studio dedicato dallo psicologo itjsso Alexander Luija a Solomon Cerecevskij, impiegaluccio «lento e un po' grigio» ma dotato di una prodigiosa memoria, che finì per esibire nei circhi. «Je suis un phénomène», al Teatro Studio di Milano fino al 23, 100' senza intervallo, rieostinisce schematicamente, per brevi scenette trasportale in tempi più vicini a noi - ossia, con televisori e computer, mentre i l'atti avvennero nel periodo fra le due guerre - la scoperta delle singolari doti di Solomon e i tentativi vuoi di analizzarla, da parte di Lurja e di altri medici più cinici, vuoi di strumentalizzarla, come fa un impresario. Diversamente da Pico della Mirandola, che analogamente sapeva ripetere a memoria un brano appena ascoltato, Solomon non è un uomo che spicchi per intelligenza, cultura o profondità. Egli appare soltanto ricettivo, in modo totale, a stimoli di ogni sorta; bombardato da segnali, spesso fatica a distinguere i suoni dai colori, dagli odori, ecc. - è la cosiddetta sinestesia, una percezione globale, faticosa e ossessionante per chi ne è affetto. Nella commovente, contenuta interpretazione di Pierre Bénichou, Solomon è un mite disposto a fare del suo meglio per assecondare le curiosità un po' crudeli degli scienziati, ma incapace di capire quel che gli succede. Richiesto se ha un metodo per ricordare tutto quello che ricorda, risponde di no, ma poi, quando a titolo sperimentale e, poi, di esibizione, viene sollecitato a compiere sforzi mnemonici particolari, confessa di averne uno, o forse se lo crea: e guarda caso è, senza che lui lo sappia (e senza che Lurja, Peter Brook e la coautrice del lesto Marie-Hélène Estiennc ce lo dicano), quello teorizzato da Quintiliano e da altri antichi autori di manuali di retorica, che all'oratore bisognoso di ricordare gli argomenti dell'avversario suggerivano di crearsi una casa, un percorso mentale. Memoria visiva, dunque; e Solomon fa così, immaginando di percorrere le strade del suo paese natale (e in seguito, di Mosca) e di trovarci corrispondenti delle parole che deve ripescare. Ogni suono, ogiù numero ha per lui un colore e una identità precisa, molto fisica, che glielo rendono inconfondibile; allo stesso tempo egli è afflitto dalla totale incapacità di dimenticare alcunché. La presentazione di questo caso singolare ma non poi unico è affidata da Peter Brook a sei attori, fra cui i fedelissimi Bruco Meyers e Sotigui Kouyate, con la consueta scioltezza ed economia di mezzi una piattaforma, tre teleschermi con commenti visivi. La progressiva rivelazione dei portenti di cui il quasi ignaro Solomon è capace avviene mediante episodi vivaci, il più trascinante dei quali è legato ai primi tre versi della «Divina Commedia» e alla spiegazione di come fa Solomon per impossessarsene, pur senza capirne il significato. Alla lunga però ci rendiamo conto che usciremo senza la soluzione; e infatti dopo test, diagrammi, scomposizione del cervello di Solomon, ecc., i sapienti, per bocca di Lurja in visita negli Usa dove Solomon è emigrato, concludono di continuare a brancolare nel buio. Masolino d'Amico Il regista Peter Brook

Persone citate: Alexander Luija, Kouyate, Meyers, Oliver Sacks, Peter Brook, Solomon Cerecevskij

Luoghi citati: Milano, Mosca, Usa