Tartufi, la febbre delle Langhe

Tartufi, la febbre delle Langhe REPORTAGE L'ORO DELLE COLLINE La Fiera che Alba dedica al prezioso fungo richiama pullman di visitatori alla ricerca di sapori genuini Tartufi, la febbre delle Langhe L'assalto dei turisti minaccia le tradizioni ALBA DAL NOSTRO INVIATO «E adesso, signori e signore, possiamo andare tutti a mangiare!». Segue traduzione: «And now we can go to eat!». E allora arriva sì l'applauso, nel salone tutto stucchi e antichi quadri del municipio di Alba, parato a festa per ricevere gli ospiti inglesi e francesi del Rotary, affacciato su una piazza già piena di sbandieratoli e rulli di tamburi, già intasata di turisti alle dieci del mattino per questo primo giorno di Fiera del tartufo bianco d'Alba: grande festa dell'autunno e dell'orgoglio locale, celebrazione massima di uno dei miti della gastronomia, «perché ovunque tu vada dici tartufo, dici nutella e tutti pensano ad Alba. Noi siamo il Nord Est del Nord Ovest, ha capito?», dice orgoglioso il sindaco Demaria, con un orecchio incollato al telefonino e tutti questi ospiti da salutare, e questa città antica e nuovissima allo stesso tempo nelle mani. Una città che fatica a ritrovare un'anima: esplosa nel giro di qualche anno da capitale della Langa a meta di colonne di pullman tedeschi e svizzeri, comaschi e milanesi, tutti catapultati per tour di uno-due giorni, tagliatelle con grattata di tartufo comprese nel prezzo e «3 bottiglie di vino in offerta a 20 mila», una passeggiata nella via Maestra, e via. Alba «tira», come si dice in gergo commerciale. Le Langhe sono di gran moda, gli agriturismo crescono come una volta crescevano i funghi, chi ha una cascina ci pianta sopra un'insegna e prima o poi un autobus si ferma, scaricando nell'aia turisti smaniosi di comprare vini locali, formaggi locali, mele locali, qualunque cosa purché sulla carta ci sia scritto «made in Alba». Il merito - e la colpa - non si sa di chi sia. Ma è vero che tutti ormai hanno riscoperto il piacere delle cose buone, tutti cercano i cibi «veri» e i posti segnalati dallo «Slow Food», e '.ehi può si permette quelli di culto, come questi tartufi adagiati in coppe di cristallo, in vetrine di negozi che sembrano gioiellerie, in una via - la via storica del passeggio di Alba - che trabocca di enoteche con le insegne «carine», di vetrine che espongono gli Armani e i Missoni insieme a trionfi di zucche e pampini, di gioiellerie (vere) affian- cate da sportelli Bancomat, gli unici a non poter esporre almeno una bottiglia, un tartufo, un grappolo di Nebiolo, un salammo. Un gran lusso. Uno scontrino dietro l'altro, nei locali di una città che sembra il Paese di Bengodi (troppe salsicce, formaggette, bottiglie con etichette da stilista), soldi a palate per chiunque abbia voglia di salire sul treno lanciato che è l'economia di questi posti. Ma il «rischio Rimini» è dietro l'angolo. E questi gropponi - italiani e stranieri - che alle cinque della sera intasano il centro storico, non guardano le rosse torri romaniche o i palazzi freschi di restauro, ma premono come disperati per entrare nel cortile della Maddalena, sede della Fiera (con tripla insegna: «TrufflMarkt», «Truffle Market»). E una volta dentro, a parte buttarsi sul menu «due uova al burro con tartufo, un bicchiere di Barolo - 35 mila», commentano «che puzza di gas» davanti al muro aromatico che prende davvero alla testa, guardano quelle patatine scure esposte come pepite e inawicinabih (400-500 mila l'etto) e aspet- tano l'arrivo di Valeria Marini. Che arriva, dopo mia notte in discoteca locale (erano in mille, ad aspettarla), ritira due esemplari da un etto ciascuno (1 milione e 200 mila) e già che c'è dice che «se il governo è caduto è perché doveva cadere». Ma a parte questo, la gente tocca e fugge, lancia sguardi distratti persino al «naso elettronico» studiato dall'Università di Torino per smascherare i tartufi spacciati per albesi, ma forse albanesi, o croati. Apprezza il «trifolau» che per l'occasione si è vestito da autentico cercatore di tartufi, e sfoggia anche un cappello con la piuma di gallo. Manca il «vero» cane da tartufo, ma pazienza. Agostino Aprile, presidente dei tartufai, spiega che in fondo per fare questo mestiere basta versare 180 mila lire alla Regione e passare un esamino. «Siamo ormai duemila, le colline sono piene, sapesse che traffico certe mattine...». René Muller, svizzero che vive da anni a Cortemilia, pioniere del turismo colto e ricco arrivato d'Oltralpe e stabilmente insediato (5 mila gli svizzeri residenti in cascine e rustici splendidamente restaurati nel basso Piemonte), ha paura della massificazione, dei tour da 350 mila tutto compreso. «Adesso abbiamo fondato un "Master of QualityPicmonte", chiedendo aiuto ai "saggi" locali: Gaja, Ceretto, Cesare di Albaretto Torre». Cioè il meglio della grande ristorazione e delle grandi cantine, chiamati a rispondere: che fare, adesso che le Langhe sono così popolari, per evitare l'«effetto circo»? «Ormai questa è la gallina dalle uova d'oro», dice Raoul Molinari, da sempre anima critica di Alba, editorialista (laico) della Gazzetta d'Alba, settimanale della diocesi: «Qui bisogna trovare un progetto, e reinventare un tessuto culturale che è indispensabile in una città ormai impoverita». Sì, ma cosa? Dovendo progettare le rotonde spartitraffico, il Comune ha pensato bene di farle a vigna, con viti vere. Ma intanto la casa di Beppe Fenoglio è un rudere. Se qualcuno lo cercasse, sappiate che il partigiano Johnny non abita più qui. E l'anima di Alba, chissà dov'è. Forse ieri era a Dogliani, prima finale della serie A di pallone elastico. Duemila spettatori, in mio sferisterio sulla collina, a soffrire peri «rossi» e gli «azzurri». Brunella Giovara Fioriscono enoteche e agriturismo e i negozi che espongono tartufi sembrano gioiellerie C'è chi mette in guardia dal «rischio Rimini» «Restituiamo un'anima alle nostre zone» A sinistra, il profilo delle torri di Alba In alto l'attrice Valeria Marini, ospite d'onore della Fiera, mentre riceve in dono due tartufi Sopra, un maxi esemplare di tartufo esposto ieri alla Fiera