A Teheran tra bazar e Borsa di Ugo Bertone

A Teheran tra bazar e Borsa La nuova battaglia di Khatami: privatizzare e deregolare. Conservatori al contrattacco A Teheran tra bazar e Borsa Nell'economia la chiave delle riforme TEHERAN DAL NOSTRO INVIATO L'ultima trappola potrebbe scattare oggi: se il governo di Khatami non troverà un modo per coprire il «buco» di 1 miliardo e mezzo di dollari nella Finanziaria, il mese prossimo gli impiegati dei ministeri non riceveranno lo stipendio. Nessuno, per la verità, si preoccupa più di tanto per l'immediato, nemmeno alla Borsa di Teheran (che ha, tra l'altro, più titoli di quella di Milano...), dominata dai mercanti del bazar, perché qualche soluzione, alla fine, si troverà: o un anticipo sul petrolio (problema dei problemi, perché oggi il greggio iraniano, da cui deriva il 70% delle entrate dello Stato, vale 9 dollari al barile contro i 16 previsti un anno fa); o un prestito obbligazionario in attesa di un faraonico piano di privatizzazioni (6 mila società oggi in mano allo Stato, ma la destra è contraria); oppure l'anticipo per il «minor haj», ovvero il pellegrinaggio alla Mecca, dall'anno prossimo in poi. Uno versa, in anticipo, i quattrini del viaggio (poco meno di tre milioni di lire) allo Stato. Poi, si vedrà... Anche la crisi economica gioca, per ora, contro la «rivoluzione dolce» del presidente Mohammed Khatami, l'ayatollah che indossa il turbante nero, segno distintivo dei Seyyed, i discendenti di Maometto, ormai accerchiato dall'offensiva della destra. Tra pochi giorni, il 23 prossimo, si voterà per l'assemblea degli Esperti, potentissima perché nomina (e può destituire) la Guida suprema della rivoluzione. E l'esito a vantaggio della destra è scontato, perché il comitato controllato dai seguaci di Khamenei, la Guida spirituale, ha ammesso solo 167 candidati per 86 posti, tutti rigidamente conservatori. E non mancano altri segnali dell'offensiva integralista. Le tensioni alla frontiera con i Taleban rischiano di creare un clima ostile alle riforme e, non a caso, è la destra a premere per la guerra. Poi è arrivata la sentenza di morte contro il tedesco Helmut Hofer, uomo d'affari accusato di aver avuto rapporti sessuali con una ragazza iraniana, che rischia di azzerare la politica di avvicinamento all'Unione Europea di Khatami. Infine, la notizia che gli hczbollah universitari hanno messo una taglia di un miliardo di rial (532 milioni di lire) sulla testa di Salman Rushdic, lo scrittore «graziato» poche settimane fa, all'Orni, dal ministro degli Esteri Kamal Kharrazi. E non a caso, mercoledì scorso, Khamenei aveva scelto proprio il congresso degli universitari integralisti per accusare di «cospirazione le persone che mettono in dubbio la legittimila della Repubblica islamica». La destra, insomma, è all'offensiva: non si accontenta più della testa del sindaco di Teheran, il moderato Karbashi, processato per corruzione, o di quella dell'ex viceministro degli Interni Nouri, destituito e picchiato dai pasdaran. Ora è la volta del ministro dell'Istruzione Musafar, colpevole di aver introdotto una riforma troppo liberale del liceo. E poi chissà.. «E' inutile negarlo: la situazione e diventata più difficile, perché la destra sta forzando la situazione. Ma il presidente Khatami può farcela».. Mehdi Abbasi Rad, ca- poredattore di Zan (ovvero del quotidiano «Donna», 60 mila copie vendute), sta bene attento a calibrare le parole. Fare il giornalista in Iran, di questi tempi, è davvero un mestiere pericoloso: mia ventina di arresti negli ultimi cinquanta giorni, di cui almeno 4-5 firme di «Tous» (nome di un sobborgo di Mashad, fino a poche settimane fa il quotidiano più diffuso, oggi chiuso per ordine della magistratura) ancora in galera per «attentato alla sicurezza dello Stato», reato che, in teoria, può comportare anche la pena capitale; prima di «Tous», la censura ha colpito «Jamé e» («La Società»), 150 mila copie. E' stata la libertà di stampa la grande novità introdotta da Khatami, con risultati strabilianti. In un anno sono stati autorizzati 200 giornali e riviste, la tiratura dei quotidiani è passata da un milione a due milioni e mezzo di copie, anche perché, come commenta il liberalizzatore Barghani, «qui la gente ha ben poco da fare per svagarsi, perciò legge». Ma la Commissione visti non si riunisce più da fine luglio e le domande in lista d'attesa, a questo punto sono più di 500. La situazione è difficile, insomma, anche per «Zan», ultima voce liberale sfuggita alla caccia alle streghe, anche perché il direttore di «Zan» è nientemeno che Faeseh Rafsanjani, ovvero la figlia del potentissimo ex Presidente della Repubblica, Ashemi Rafsanjani, punto di riferimento della destra moderna, leader dell'«Assemblea per la determinazione delle scelte» e tutt'altro che tenero verso i radicali. Ma la sua «protezione» non è stata sufficiente a evitare una chiamata in Tribunale quando «Zan» ha scritto che, tra i picchiatori di Nouri, l'ex ministro, c'era pure Mohammad Reza Naghdi, uno dei capi storici dei pasdaran. «Abbiamo le prove di quanto abbiamo scritto» confida il caporedattore di «Zan» e medita un colpo giornalistico e politico: l'intervista, a Londra, a Salman Rushdie, un modo per riaffermare che «le forze della destra non ce la faranno». Sarà, ma la primavera di Teheran sembra aver lasciato posto per ora a un autunno precoce e rigidissimo. «I conservatori non possono che ricorrere alla violenza» commenta Ashmatollah Tabarzadi, capo dell'associazione islamica degli studenti, una delle forze politiche egemoni dell'università di Teheran, uno dei termometri più sensibili di un Paese dove non esistono partiti politici. «Gli hezbollah - continua - sono manovrati dall'alto. E i conservatori hanno il controllo degli apparati repressivi, ma non hanno legittimazione popolare. Non mi stupirei se tentassero la via del colpo di Stato. Ma basterà l'università a fermarli. Oltre alla forza hanno ben poco...». A percorrere i viali, intasati e inquinatissimi di Teheran, non si ha, a dire il vero, ha la sensazione di una situazione radicale: l'ultima manifestazione, vietata, all'università ha mobilitato non più di 3-4 mila persone. La destra modernista continua a tessere la trama delle riforme per rendere l'Iran un Paese «normale». Mohammad Ah Najafi, vicepresidente e ministro del Bilancio, ha appena annunciato, oltre al mega piano di privatizzazioni, una legge che consentirà agli stranieri di detenere la maggioranza nelle joint ventures. «Buona cosa - afferma Amin Sabooni, economista - ma non basta. Bisogna rendersi conto che accanto alle privatizzazioni ci vogliono altre iniziative: la deregulation, la liberalizzazione dei commerci, la riforma fiscale. Ma, più di tutto, bisogna creare una cultura nazionale della trasparenza». «Quel che occorre - ha scritto lo stesso Rashidi - è un'economia aperta, pronta ad entrare nel Wto». Difficile, comunque, distinguere riforme economiche e civili in questa società di poco più di 62 milioni di abitanti (reddito medio di 1475 dollari nel '97), dove il 60% degli elettori (qui si va alle urne a 15 anni) ha meno di 30 anni e ha votato in massa per Khatami e contro quei candidati che si scagliavano contro «i ragazzi dai capelli impomatati» e sulle «ragazze indifferenti allo chador». Attorno alla cura dell'«economia malata» si combatte la battaglia contro i sussidi per i prezzi sovvenzionati dallo Stato (10 miliardi di dollari l'anno), o lo strapotere delle Fondazioni che hanno ereditato le immense ricchezze dello Scià, e del Bazar, sostegno primo dell'Iran. Ma, alle soglie del Duemila, la battaglia di Teheran è un'altra: è quella contro gli «arresti arbitrari e il primato della legge». E l'esito del confronto iraniano, oggi come vent'anni fa, sarà decisivo per gli equilibri politici delle vie del petrolio. Ugo Bertone Una «Primavera» in cui fioriscono 200 giornali liberi Ma i ripetuti arresti di reporter ammoniscono che il passato può tornare Il presidente Khatami (sopra) resta inviso ai conservatori