TANTI PICCOLI GHINI DI TACCO di Pierluigi Battista

TANTI PICCOLI GHINI DI TACCO TANTI PICCOLI GHINI DI TACCO di lasciare le vallate del Nord per far pesare il proprio ruolo nella formazione del nuovo governo di Roma. E lucrare un congruo vantaggio politico nella delicata, ma richiestissima funzione di ago della bilancia della politica nazionale. 1 politologi lo chiamano «potere di veto». Ed è la condizione peculiare che alimenta l'autolegittimazione di qualunque Ghino di Tacco: vale a dire l'idea che per fare una maggioranza occorre fare cinquanta più uno e che basta avere non cinquanta ma soltanto uno per svolgere una funzione determinante. Retaggio della frammentazione proporzionalistica, si asseriva. Solo in un sistema che consente la rappresentanza di qualsivoglia minoranza è possibile consegnare alle minoranze, o meglio ai partiti minori, un peso esorbitante e un cospicuo potere di freno sulle forze maggiori. Ghino di Tacco nasceva qui, nella volontà di potenza di una minoran¬ za del 15 per cento come quella di Craxi che faceva fruttare la propria collocazione strategica ai due partitoni, quello democristiano e quello comunista. Fatto il maggioritario, si infervoravano i «nuovisti», si sarebbe disfatto il potere di veto. Ma qualcosa non deve aver funzionato a puntino, se il risultato appare oggi, all'indomani dell'inopinato harakiri del governo dell'Ulivo, una proliferazione senza limiti di tanti piccoli Ghini di Tacco. Nel primo governo dell'epoca maggioritaria, è stato lo stesso Bossi a rinverdire i fasti del «potere di veto» fino al punto di mandare a ramengo il governo Berlusconi giocando fino in fondo il proprio «ruolo deternùnante». Nell'era appena conclusa dell'Ulivo si era invece identificato il nuovo Ghino di Tacco in Fausto Bertinotti (del resto, c'è qualcosa che alimenta più del «patto di desistenza» il potere di veto della minoranza chiamata a desistere?). E in effetti per più di due anni è stato proprio Bertinotti a condurre con indubbia maestria il gioco dell'esattore che ogni volta chiede al governo, se vuole sopravvivere, di pagare mi obolo al piccolo ma agguerrito partito de- terminante. Ma, ironia del destino, l'Ulivo ha voluto sostituire Bertinotti con un altro Ghino di Tacco: Armando Cossutta. Le cose sono andate come tutti sanno. Ma dopo la batosta Cossutta ha perfettamente compreso che per giocare una parte nella difficile e impervia formazione di un nuovo governo che eviti il ricorso alle urne, proprio alle imprese di Ghino di Tacco occorre ispirarsi. E infatti, tuona Cossutta, o me o Cossiga». Il quale Cossiga, da consumato protagonista della vicenda politica, sa benissimo qual è in una partita così fitta di incognite la forza del «potere di veto». E infatti non ha esitato a dichiarare la propria inscalfibile contrarietà al nome di Carlo Azeglio Ciampi, indicato come possibile leader di un governo tecnico e bocciato da Cossiga come impenitente «antidemocristiano». Ora è la volta di Bossi il cui tentativo di incarnare il nuovo Ghino di Tacco appare per la verità, vista la scarsa appetibilità politica del leader leghista sia a destra che a sinistra, al monento non in grado di esser baciato dal successo. Avanti un altro. Pierluigi Battista

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