L'urlo di Prodi: l'ulivo non è morto

L'urlo di Prodi: l'ulivo non è morto Il premier con il suo vice alla manifestazione di Bologna: il futuro siamo noi, non ci arrendiamo L'urlo di Prodi: l'ulivo non è morto «Mi hanno offerto due voti in cambio di una tv, ho rifiutato» BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Attenzione, attenzione a tutti i naviganti della politica. Sta succedendo davvero qualcosa, in questa sala di bandiere e applausi. Romano Prodi è appena salito sul palco - Arena del Sole, ore 10,30 - bucando un'onda di boati e adrenalina, strette di mano, abbracci, flash, ovazioni. Ha una faccia che non abbiamo mai visto. Un tono di voce che non abbiamo mai ascoltato. Grida, persino, come non aveva mai fatto: «L'audacia è la nostra!», «La coerenza è la nostra!», «Basta con i giochi e i saltimbanchi che hanno distrutto il Paese!». E ancora e più forte: «Non ci faremo ributtare nel passato... Noi che abbiamo costruito il futuro!». E c'è qualcosa di speciale, di non televisivo, di non buonista, di non floreale, ma addirittura di spinoso, persino nella faccia liscia di Walter Veltroni, nel suo modo allarmato e secco di parlare, quando scandisce: «Io non credo che quel voto abbia sepolto l'Ulivo». «Io no credo che questa avventura sia finita». E sarà stato l'affanno, oppure la circostanza del ritrovarsi - nella stessa Bologna da cui principiò la lunga marcia del pullman, nella stessa Bologna dove si inaugurò l'Ulivo, il suo simbolo, la sua vittoria - a trasformare di colpo questa mattinata, scacciando l'ombra della- sconfitta, spalancando finestre di applausi, e commozione e rabbia. Come se adesso venisse varato un nuovo inizio, e prendesse il largo, a scompaginare tutte le tiepide correnti della politica che si intrecciano nel vasto mare. Sì, è successo qualcosa. Se ne è andata la notte e se ne è andato D'Alema con il suo no in tasca. Il telefono ha frullato i suoi candidi: «Romano ripensaci», e poi finalmente è rimasto zitto. Sono arrivati i giornali del mattino, che a Prodi hanno tirato fuori pure un sorriso: si è capito, si è capito tutto - ha detto ai suoi - dove sta la coerenza e dove stanno i giochi, gli agguati, le capriole. Un paio di minuti dopo le dieci, quando si infila nel nuovo giorno sgambando verso via Indipendenza e il teatro che lo aspetta, il presidente ha chiac- chiera leggera e distesa. «Ho dormito benissimo... I problemi li ho solo quando sono sveglio». Ha la giacca aperta, il sigaro spento. Vuole un caffè. «No, non mi sento né depresso né vuoto. Ho fatto la cosa giusta... Qualcuno ha detto che sarei dovuto andare prima in Senato con la Finanziaria». Al Senato e incassare la maggioranza sicura. «Appunto». E diluire i tempi. «Lo so». E i tempi, forse, avrebbero aggiustato il conto dei voti. «I conti li avevamo fatti precisissimi». Precisissimi è molto più di un eufemismo. Prodi alza le spalle, cammina avanti. Poi rallenta, dice: «Bisogna avere sguardo lungo e occhi profondi. Mi spiego?». No. «Dico che bisogna guardare le cose in prospettiva, anche nei tempi lunghi. Questa è una battuta d'arresto. Uno stop. Lo so benissimo... Ma quello che noi abbiamo seminato, non si vanifica in un istante, non si vanifica con un voto. Le cose marciano, si sono messe in moto...». Al momento, presidente, si sono messe in moto verso qualunque direzione. «E allora io aspetto. Non cambio idea. Nei due anni e mezzo di governo abbiamo risanato questo Paese. Trasformato la politica da gioco incrociato a forma coerente... Ma anche se adesso rispuntano le furbate, i voltafaccia, io ne resterò fuori. Aspetto». E alla fine tutti torneranno da lei? (Non risponde, ma di sicuro sta pensando a quel che va dicendo da tre giorni ai suoi: facciano un governo, magari con i miei ministri, magari con Ciampi presidente... Sarebbe comunque una buona cosa...). La domanda resta sospesa perché, d'improvvviso, spunta il teatro e la folla e le telecamere che vengono all'assalto. «Prodi! Prodi!» gli gridano pattuglie di ulivisti imbandierati. Si entra: tutti in piedi, lui strizza gli occhi, allarga il sorriso. Sale. E quando una debole signora con viso d'apparenza zuccheroso strilla: «Audacia, presidente! Più audacia!», lui acchiappa e parte, con sbalorditiva tonanza: «Se in un Paese di saltimbanchi l'audacia è tenere ferma una linea, piantarla con il trasformismo, le triple capriole, l'audacia è nostra!». E ancora: «Ci rinfacciano di avere perso per un voto, ma se da me viene un parlamentare dicendomi: ne faccio uscire due o tre in cambio di una rete tv... Io dico nooo! Nooo! Nooo!». L'apoteosi allaga l'aria, men¬ tre dozzine di cronisti sbarrano occhi e attivano telefonini («Chi è?», «Di che partito?», «Leghisia?». «Il nome, ha detto il nome?») ma il presidente non fa pause, né prende fiato, va dritto dove vuole arrivare: «Va bene: adesso loro sono 313 e noi 312. Sono la maggioranza? Facciano un governo! Provino a stare insieme, voglio vederli, Berlusconi, più Bertinotti, più Bossi, più Cossiga... Proviamo: Berlusconi presidente. Agli Esteri? Magari Cossiga...» (Risate). «No, anzi Maroni» (Risate, «Buuu! Buuu!»). «E al Tesoro? Naturalmente Bertinotti...». (Nessuna risata, ma urla, insulti). Cambio di voce, niente più sarcasmo, solo volume: «Siamo seri. Quelli sono una banda, non una maggioranza... Ci hanno battuto, ma la verità è che si sono dovuti mettere tutti insieme, e disperatamente, per buttare giù un governo cosi nuovo. Li ha uniti solo la paura, la disperazione... Hanno vinto temporaneamente, ma quei quattro restano una banda dei quattro». Volume e stavolta enfasi, uzi sacco di enfasi: «L'Ulivo non è morto, non ha esaurito il suo compito. L'Ulivo ha respiro e fiato. Non gioca a scacchi con il Paese. Ha dato stabilità. Ha espresso un governo che si è mosso insieme e che insieme ha raggiunto traguardi impensabili. E questi sono esempi che restano... Perché non c'è niente da fare, l'alleanza del centro sinistra è il destino di questo Paese... E le carte buone del destino le abbiamo noi». C'è per l'appunto aria di destino e (più prosaicamente) aria di pullman, in questo anno terzo di Ulivo e giorno terzo di crisi. Il quale giorno finisce con il plateale abbraccio tra Prodi e Veltroni, come quando tutto cominciò. E il pullam (si sa) può andare, oppure stare fermo, oppure mettersi di traverso. Pino Corrias GLI AVVERSARI «Adesso provino j| a fare un governo con Berlusconi a Palazzo Chigi Fausto Bertinotti al Tesoro e magari Maroni alla Farnesina» LA COALIZIONE «Questa è una battuta d'arresto Ma quello che noi abbiamo seminato non si vanifica per colpa d'un voto Abbiamo risanato questo Paese» «No ai trasformisti Io ho cambiato questa pioliticà: da gioco incrociato a forma coerente» Il Professore non lo dice, ma non gli Spiacerebbe un esecutivo fatto coi suoi ministri Wm j| Qui sopra Walter Veltroni e Romano Prodi ieri durante la manifestazione dell'Ulivo a Bologna In alto la sequenza in cui è esplosa la rabbia di Prodi nel raccontare il tentativo di «baratto» da parte di un deputato leghista A sinistra la platea del cinema bolognese

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