IL MALE E' A BELGRADO di Enzo Bettiza

IL MALE E' A BELGRADO IL MALE E' A BELGRADO LA giornata corre su un doppio binario. Può darsi che il presidente Milosevic ceda sotto il peso della trattativa a missili puntati, che da venerdì gli sta imponendo l'implacabile plenipotenziario americano Holbrooke, così come può darsi che cada sotto l'impatto diretto dei missili nel caso i fallimento della trattativa. Il conto alla rovescia sembra ormai prossimo al rintocco finale per quella dittatura tirannica e genocida. Milosevic di fatto è stato posto da Holbrooke di fronte a un ultimatum: o concedere al Kosovo e ai kosovari un autogoverno pieno, una sorta di superautonomia, ritirando all'istante armi e soldati dal territorio devastato e saccheggiato; oppure subire, dopo il bombardamento politico giunto agli ultimi colpi, un effettivo bombardamento bellico. Se l'attacco dovesse compiersi, secondo i piani già approvati dai vertici della Nato, esso non risparmierebbe neppure postazioni militari situate nell'immediata periferia di Belgrado. Ormai glj Stati Uniti e gli alleati, che più o meno riluttanti non possono fare a meno di seguirli, sembrano avere capito che colpire le installazioni strategiche serbe soltanto nel Kosovo non avrebbe più molto senso. Al punto cui sono arrivate le cose, si tratterebbe nient'altro che di un dimostrativo atto simbolico. Nei sette mesi d'impunità, concessigli dalle reiterate offerte diplomatiche occidentali e dai moniti privi di conseguenze, Milosevic ha vinto la sua sporca guerra etnica sul campo. Ha tenuto in pugno il capoluo go di Pristina, ha messo in gi nocchio i guerriglieri schipetari dell'Uck, ha fatto trucidare mi gliaia di kosovari, ha distrutto più di 700 villaggi, ha costretto all'esodo catastrofico più di 300 mila albanesi su circa due milioni, alterando così i rapporti etnici a vantaggio dell'esigua minoranza serba. Nessun bombardamento selettivo della Nato magari seguito da una «piccola Dayton» che lasciasse in piedi Milosevic, potrebbe risolvere a fondo la questione kosovara già gravemente compromessa. E nemmeno potrebbe risolvere insieme della questione balcanica - l'imbroglio bosniaco, la satrapia nazicomunista serba, la crisi albanese, l'indipendentismo montenegrino, le inquietudini macedoni, bulgare, greche, turche - già permanentemente destabilizzata dal 1988 in poi dai post-titoisti di Belgrado. Può avere un senso preciso, un obiettivo reale, soltanto un bombardamento, o politico o militare, che miri all'eliminazione dalla scena balcanica dello scandalo che la perturba e insanguina da oltre un decennio: il troppo lungo potere di Slobodan Milosevic che, alla soglia del Duemila, ha riportato nel cuore d'Europa i peggiori e congiunti metodi hitleriani e staliniani d'aggressione e di sterminio. Purtroppo le pigre e opportunistiche diplomazie occidentali, nella tradizione storica dei Chamberlain e dei Daladier, hanno dissennatamente gratificato fino a ieri Milosevic con una specie di fotocopia decennale del «patto di Monaco». Ora, soprattutto gli americani, paiono essersi alfine accorti che il vero problema non è nel Kosovo, o nella Bosnia, ma nelle menti paranoiche di Milosevic e dei suoi accoliti. Hitler non era mai stato la soluzione dei problemi europei, come ritenevano una volta certi pieghevoli statisti occidentali; era lui il problema. Così Milosevic, in proporzioni relativamente minori, non è affatto la chiave dei problemi balcanici; è lui stesso il problema. Richard Holbrooke, che in queste ore decisive sta usando la doppia diplomazia della carota avvelenata e del bastone al tritolo, dà l'impressione di aver compreso pienamente che l'ostacolo da abbattere non è a Pristina ma a Belgrado. Enzo Bettiza