Tre interessanti commedie italiane con struzzi, burosauri, imbianchini di Masolino D'amico
Tre interessanti commedie italiane con struzzi, burosauri, imbianchini TEATRO & TEATRO Tre interessanti commedie italiane con struzzi, burosauri, imbianchini TRE sere, tre città, tre commedie italiane di cui due nuove, tutte interessanti e piacevoli; chi non ci crede controlli, si replicano fino alla fine del mese. La non nuova è I burosauri di Silvano Ambrogi al Manzoni di Milano. Scritta nel 1963, la descrizione satirica di un polveroso ufficio inutile dove gli impiegati ingannano il tempo con piccoli battibecchi, ingenui sogni e manie, rimane attuale non meno di Gogol, e Ernesto Calindri come il caposezione Altamura dal linguaggio olimpicamente fiorito di paroloni e latinismi è all'apice della sua impareggiabile grazia. L'aplomb di Altamura è messo a dura prova dalla visita del mitico Capo del Personale proprio il giorno in cui un membro del suo ridotto distaccamento si licenzia, un altro chiede il trasferimento, e un altro ancora ha l'indelicatezza di abbattersi morto sulla scrivania: ma con un risvolto a sorpresa il nostro, da vero burosauro, non affonderà. Diretti in scioltezza da Antonio Moretti, molti dei ben 12 attori hanno occasioni gustose, con particolare successo nel caso di Gaetano Aronica, applaudito a scena aperta. Intanto al Vittoria di Roma ha debuttato Struzzi, scrit¬ to, diretto e interpretato da Claudio Bigagli. La situazione è quella dei tre porcellini, con Attilio Corsini nei panni del fratello saggio che mantiene gli scervellati, salvo stufarsi e proporre di vendere la cadente fattoria comune per involarsi ai Caraibi con una entraineuse straniera. Ma il fratello giramondo (Bigagli) convince lui e il terzo, bizzarro scultore naif-modernista (Stefano Gragnani), a investire tutto, invece, in un allevamento di struzzi commestibili. L'improbabile operazione ha momenti spassosi data l'inettitudine degli allevatori improvvisati, incapaci persino di ammazzare uno struzzo con cui hanno fatto amicizia, in un clima fra il grottesco, il metafisico e lo strampalato, ben sottolineato dalle estrose invenzioni scenografiche di Giovanni Albanese. Le due ore scarse scivolano con soddisfazione del pubblico, anche se alla lunga i trasognamenti del fratello 'puro' sono stucchevoli. Alla Contrada di Trieste e in dialetto (soft) locale, infine, L'americano di San Giacomo di Tullio Kezich, dove un imbianchino antifascista emigrato negli USA nel 1922 torna nel suo popolare quartiere ventisette anni dopo, vedovo, e si confronta con la cognata, vedova anch'essa, e il giovane nipote, nonché con l'amico di sempre, che è diventato capocellula stalinista e lo taccia pubblicamente di traditore del proletariato. Agli occhi del reduce si manifestano così tensioni private e pubbliche, in un momento storico particolare. L'autore, che all'epoca aveva l'età del nipote di Giusto, recupera frasi gergali, musiche e argomenti della sua adolescenza mentre osserva i tic cecovianamente rivelatori dei personaggi, e da buon triestino si serve dell'umorismo per controllare ogni sospetto di commozione. Ne risulta un copione ricco di mestiere e di umanità, per esecutori che Francesco Macedonio ha diretto con garbo e invenzioni felici. Ariela Reggio è la nonna svampita, Lidia Kozlovich, la donna orgogliosa del proprio sacrificio, Orazio Bobbio, il comunista allo stesso tempo subdolo e generoso: tutti impeccabili, ma il trionfo della serata (50'+ 60') appartiene a Mario Valgoi. Cordiale e spaesato, espansivo e facile al risentimento, Giusto è un magnifico carattere a tutto tondo, e magnificamente l'interprete ne coglie ogni sfumatura. Masolino d'Amico ico
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