Durezze e sgarbi di una santa

Durezze e sgarbi di una santa Durezze e sgarbi di una santa Esce il sorprendente carteggio con l'amico polacco E|ila prima donna ebrea /che, dopo la primitiva era cristiana, viene venerata dalla Chiesa cat Itolica sugli altari. Edith Stein è una figura che ha affascinato il mondo culturale europeo, e non solo quello cattolico, nel dopoguerra, se non altro per essere stata assistente di Husserl, il filosofo caposcuola della fenomenologia tedesca. A 21 anni si dichiarava atea, lei, allevata nel rispetto della Torah (la legge mosaica) e delle pratiche religiose giudaiche: «Mi sento incapace di credere all'esistenza di un Dio». Ma poi la sua vita diventerà tutta una ricerca spirituale. Il fatto elle la sua strada sia sfociata alla fine nella tragedia e nel sacrificio di Auschwitz non significa che essa sia stata uni¬ camente sublime. L'itinerario da lei percorso, per quanto appassionato per la sua amata filosofia, è segnato anche dalle ambizioni comuni, dalle gelosie, dalle delusioni, dalla ricerca di successo. Il che può essere di qualche consolazione anche per tutti noi miseri mortali. E', in fondo, quanto emerge da un piccolo gruppo di lettere, tradotte per la prima volta in italiano, pubblicate ora dalla rivista Studium: una corrispondenza della Stein con un amico polacco, il filosofo Roman Ingarden. La Stein che esce da queste lettere, che vanno dal 1917 al 1937, è una donna orgogliosa del suo essere tedesca; che entra in politica, dopo la guerra, ma ne rimane presto «nauseata»; insofferente verso Husserl, «padrone e maestro», che vorrebbe usare la sua assistente soltanto al proprio servizio («Non riesco a sopportare il pensiero di essere a disposizione di qualcuno»); irrequieta e insoddisfatta, sempre in cerca di «un posto dove sentirsi a casa»; in continue peregrinazioni per ottenere una docenza universitaria. E' la Stein che dà giudizi sferzanti sui suoi stessi importanti colleghi di area fenomenologica: Max Scheler è «un professore tipicamente borghese»; poi c'è il «piccolo Heidegger», chiamato così perché minuto di statura, ma forse con intenzione di qualche altra sottile ironia. E' la Stein che reagisce con durezza alle obiezioni del suo interlocutore epistolare, arrivando a essere perfino irrazionalmente sgarbata. Ingarden le scrive annunciandole il suo matrimonio e lei, indispettita, lo rimprovera per non averglielo detto prima e commenta acida: «Non mi ha nemmeno detto se sua moglie è filosofa». L'amico polacco loda la bellezza del proprio figlio. Lei scrive: «Quello che dice della bellezza di lui non mi interessa affatto. Sicuramente lei non ha in quel campo nessuna competenza». Eppure, questa donna ambiziosa, dura, sgarbata, orgogliosa di appartenere alla casta dei fenomenologi, sta percorrendo dentro di sé una strada di tor¬ mento spirituale e dalle sue radici ebraiche, pur senza mai tradirle, arriverà infine a non fare più differenza, in un convento di carmelitane, «tra sbucciare le patate o scrivere dei libri», come afferma nella sua ultima lettera a Ingarden. E' incominciato lo spogliamento totale di sé, che avrà infine il suo coronamento ad Auschwitz. Il segno esteriore di questo nuovo «fenomeno», avvenuto in lei per un amore («Cristo è il centro della mia vita»), è il nome che essa ha assunto: suor Teresa Benedetta della Croce. Scrive per ultimo a Ingarden: «Quando sento che gli altri mi chiamano "signorina Stein", devo riflettere per capire che roba è». Domenico Del Rio

Luoghi citati: Auschwitz