Germania, i Verdi sulla linea Kohl di Emanuele Novazio

Germania, i Verdi sulla linea Kohl SUCCESSIONE MORBIDA A BONN Appartenenza all'Occidente e rifiuto dell'isolazionismo garantiscono la continuità Germania, i Verdi sulla linea Kohl La sinistra non cambia la politica estera BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE In seduta straordinaria, domattina, il governo dimissionario di Helmut Kohl deciderà la posizione tedesca nella crisi balcanica, in caso di un attacco Nato alle truppe serbe nel Kosovo. In proposito, garantisce il capogruppo della Cdu e leader designato del partito, Wolfgang Schaeuble, «non si farà niente contro la nuova maggioranza rosso-verde». Appena rientrato da Washington, il futuro cancelliere Gerhard Schroeder ha fatto sapere di «condividere completamente la posizione americana nella crisi jugoslava»: una posizione che il suo governo appoggerà «in piena continuità» con quello precedente. Avverte il leader dei Verdi Juergen Trittin: «Le divergenze appartenevano al nostro ruolo di partito di opposizione. Adesso dobbiamo amministrare con responsabilità il Paese». Gli fa eco l'attuale ministro della Difesa Volker Ruehe, Cdu: «Il nuovo governo di sinistra dimostra di volere stabilità assoluta in politica estera». Se la Grande Coalizione non ha i numeri per governare, a Bonn, la politica internazionale tedesca ne sembra una naturale e obbligata conseguenza: «continuità», «affidabilità», «assenza di sorprese» sono le parole d'ordine che Schroeder ha diffuso a Parigi, nel suo primo viaggio all'estero dopo la vittoria del 27 settembre, e poi a Washington nel suo incontro con il presidente Clinton. Con il rischio di essere smentito dai fatti? Con la probabilità - piuttosto - di essere tenuto sotto stretta osservazio¬ ne, considerato che il suo ministro degli Esteri sarà Joschka Fischer, ex «ribelle anticapitalista» ed esponente di punta di un partito, i Verdi, che sono arrivati a chiedere in passato addirittura l'uscita della Germania dalla Nato. Molti, mentre Fischer entrava alla Casa Bianca insieme con Schroeder, l'altra sera, si saranno certo chiesti come si comporterà il governo della nascente «Repubblica di Berlino». Molti si saranno domandati quali saranno le priorità di uomini della «generazione del '68». Senza memoria diretta - per di più - con gli orrori del nazismo, con la guerra, la sconfitta. E più disposti dei predecessori, dunque, a ripensare in modo indipendente e slegato dal passato il «nuovo ruolo» della Germania nel mondo. Il banco di prova, ritengono i partner europei di Borni, sarà proprio la crisi nel Kosovo: come si comporterà il nuovo governo tedesco se la Nato deciderà di attaccare le postazioni serbe anche in assenza di un esplicito mandato del Consiglio di sicurezza che i Verdi - o almeno la loro irrequieta «ala sinistra» - continuano ad esigere? La risposta a un interrogativo che rischia di essere il primo vero banco di prova, per la nuova maggioranza, è affidata a due idee profondamente radicate nella cultura politica tedesca e in Joschka Fischer, diventato nel frattempo autorevole esponente dell'«ala realista» del suo partito: il primato del «legame con l'Occidente» e, soprattutto, il rifiuto categorico di «un ruolo speciale» riservato alia Germania. Quando Schroeder garantisce «continuità» ai partner americani ed europei, pensa a questi due elementi fondamentali della politica tedesca del secondo dopoguerra, legittimati dalla lezione della storia: dal disastro scatenato per due volte, in questo secolo, dalla scelta tedesca di una «via solitaria», «speciale». E pensa, con altrettanta convinzione, all'impostazione «sovranazionale» della politica estera dei Verdi: gli interessi tedeschi sono garantiti al meglio soltanto in un contesto intemazionale, è profonda convinzione del partito ecologista. Anche il «no alla Nato» del quale tanto si è parlato, dopo la designazione di Fischer a capo della diplomazia tedesca, non era motivato dal desiderio di garantire un nuovo «individualismo» - «una via speciale» - alla Germania. Dietro quello slogan c'era, piuttosto, la volontà di assicurare una più vasta integrazione internazionale della Repubblica Federale. Per questo non è un paradosso ritenere che proprio la crisi nel Kosovo - con i potenziali rischi che essa rappresenta per la tenuta della nuova maggioranza di sinistra - diventerà la legittimazione internazionale che Schroeder ha cercato nei suoi viaggi di «investitura» a Parigi e poi a Washington. L'accusa più grave, per la Repubblica Federale affacciata a Berlino e al Duemila, sarebbe quella di aver «lasciato tempo» a Slobodan Milosevic, grazie a irrisolte prudenze al vertice. Di avere obiettivamente garantito l'aggressività omicida delle truppe speciali serbe. Nessun governo tedesco riuscirebbe a tollerarla. Emanuele Novazio Già domani la prima controprova quando Bonn deciderà la sua posizione sulla crisi balcanica Il nuovo cancelliere tedesco Gerhard Schroeder con il ministro degli Esteri Joschka Fischer