La sindrome di Giuda di Pierluigi Battista

La sindrome di Giuda Sale la tentazione di cambiare bandiera, colpa della fragilità dei partiti e dell'impronta «anarchica» dell'uninominale La sindrome di Giuda EROMA se fosse la solitudine a fomentare la tentazione del tradimento? Se l'ossessione del tradimento, l'incubo del voltafaccia, la sindrome del cambiamento rapido di insegne e casacche avesse a che fare con quella vertigine di libertà del parlamentare che l'entusiasmo anti-partitocratico dipingeva come la condizione di ogni bene? Tutti avevano concentrato l'attenzione sulla scissione di Cossutta, quello strappo alla disciplina di partito che, con inni e sventolìi di bandiere, appare a tutti come la versione nobile e legittima del «tradimento». E invece le chiavi dell'enigma della crisi del governo Prodi erano nelle mani di Silvio Liotta e di una mamma del Nord che ha «tradito» le ragioni dell'appartenenza politica con quelle dei doveri parentali. Ha vinto il tradimento singolo e non quello collettivo, quello chiuso nelle regioni imponderabili della decisione individuale e non quello esibito dagli stendardi della rottura politica esplicita. Non era questa la Seconda Repubblica che tutti si aspettavano? Il fantasma di Giuda aveva già spudoratamente aleggiato sulle circostanze che portarono alla defenestrazione di Silvio Berlusconi dalla presidenza del Consiglio tenuta per soli sette mesi. Giuda, per gli sfrattati di Palazzo Chigi, era Bossi con tutta la sua eretica indifferenza a quella che veniva definita la «religione del maggioritario» oltraggiata dal ribaltone. Ma Giuda, per il Bossi insignito di questo poco gratificante titolo dagli ultras del centro-destra, era anche il peone leghista abbacinato dallo scintillio berlusconiano. «Traditore» era per il Polo il Dini che aveva deciso di correre da solo l'avventura del governo «tecnico» assieme alla sinistra. Ma altrettanto «traditore» era per gli eredi della de di sinistra U Buttiglione che voleva condurre la carovana dei Popolari dalle parti del Cavaliere. Ma in tutti questi casi, se si eccettua la periodica campagna acquisti che veniva imbastita nei corridi parlamentari ogni volta che si trattava di salvare il governo «tecnico» da chi puntava ad accelerare l'appuntamento elettorale, non sembrava scalfito un certo primato della ragion politica sulla fenomenologia dei tradimenti. Ma il ((tradimento» allo stato puro viene in auge nell'epoca dell'U- livo al governo non foss'altro perché la prospettiva di una lunga stagione di stabilità favorisce senz'ombra di dubbio la tentazione di salire sul carro dei vincitori. A un certo punto è sembrato quasi che la vocazione al «tradimento» stesse per trasformarsi in un'arma politica efficacissima tanto che, sulla scorta del cambio di casacca, certamente dovuto a travagliatissime ragioni di coscienza, di Ombretta Fumagalli Carulli che dal Ccd era passata nel campo di Dini ci fu qualcuno che arrivò a pensare che finalmente era stato trovato il mo¬ do di neutralizzare per sempre il fattore Bertinotti: bastava aspettare e, uno dopo l'altro, un congruo numero di deputati transfughi del Polo avrebbe finito per garantire, trovando rifugio nel Rinnovamento di Dini, l'autosufficienza dell'Ulivo finalmente al riparo dalle incursioni di Rifondazione comunista. E forse occorrerà prima o poi che i suoi ex alleati del Polo riconoscano a Clemente Mastella il merito di aver tamponato lo stillicidio di tradimenti, coordinando i più vulnerabili al salto della quaglia entro una forma, per così dire, organizzata e tradizionalmente legittimata di «tradimento» politico. Finora il Polo si è limitato a deridere le anime «pellegrine» pronte a rimpolpare le truppe governative, ma le particolarissime circostanze che hanno portato alla fine del governo Prodi dimostrano che la vocazione al «tradimento» ha mia direzione bilaterale. Che, insomma, la fragilità dei partiti e il richiamo tendenzialmente anarco-notabilare dell'uninominale può orientare il «tradimento» verso i lidi più disparati: come se la «sindrome Liotta» fosse solo l'inizio di un contagio difficilmente fronteggiabile. Pierluigi Battista «Traditori» son stati Bossi e Dini del Polo Buttiglione del Ppi la Fumagalli del Ccd Qui accanto Silvio Liotta Ha lasciato Rinnovamento perché ha votato contro Prodi A sinistra fon. Ombretta Fumagalli Carulli