II potere logora chi lo perde di Filippo CeccarelliAmintore Fanfani

II potere logora chi lo perde I sintomi dell'ex: dalla rabbia di Craxi ai dispetti di De Mita II potere logora chi lo perde Aquesto quadretto di ex presidente triste, solitario y final, l'arguzia un po' sadica del professor Colletti ha aggiunto di recente la vana consolazione di un cane, di razza volpina, da portare a spasso; mentre altri feroci affabulatori da Transatlantico affidano all'ex governante anche la disponibilità de La Settimana Enigmistica, che fa passare prima le giornate, ai giardinetti. Ma anche al di là di ogni convenzionale efferatezza sul potente sconfitto, perdere di colpo la presidenza, «tornare a casa», riadattarsi alla normalità non è mai facile. Di Prodi si sa solo - fonte D'Alema - che è «amareggiato». Ma almeno s'è fatto vedere. Come si fece vedere il Berlusconi che pure, manifestando durante il trasloco una stizza contabile fuori dal comune, trovò il modo di ricordare che Palazzo Chigi gli era costato due miliardi di tasca sua, e se non lo fermavano era anche capace di proporre al pubblico l'elenco delle spese. C'è chi si arrabbia, del resto, e chi letteralmente fugge. Nel 1959, una volta fatto fuori dai dorotei, Fanfani rifiutò ogni contatto col mondo, tanto che si pensò addirittura volesse entrare in convento (nonostante moglie e figli). Fra le varie sindromi dell'ex, questa della fuga è senz'altro la più spettacolare, anche se poi ha l'inconveniente di deludere chi la riteneva definitiva. Si seppe poi che Fanfani era a riposarsi in Toscana: «Guarda che gente ambiziosa e senza carattere commentò Enrico Mattei -. Noi qui a lottare e loro a bere Chianti». Non è comunque un buon esempio per Prodi nemmeno la via cossighiana. Più che in campagna, nel suo caso, si tratta di una fuga dalla depressione. Per due volte in tempi ravvicinati, nel 1978 e nel 1980, Cossiga lascia il governo tra sofferenze terribili. Nelle biografie si legge che non dorme, ha bisogno di restare solo, va a messa, legge molto, non vede che pochissime persone, quasi tutti sacerdoti. Poi si riprende, e infatti eccolo qui. «Eppure si è immalinconito - diceva Spadolini - è un altro uomo». Anche Spadolini, comunque, non visse esattamente come una liberazione la fine del suo secondo ed ultimo governo. Eppure, in un modo che gli era congeniale, seppe elaborare il lutto affidandolo alla memoria, ai ricordi. I sintomi di questo spostamento erano talvolta piuttosto evidenti, per cui il presente (una situazione, un concetto, una legge, un personaggio, una battuta) era letto con gli occhiali del suo passato governo, tutto più o meno rientrando negli schemi del «rigore», della «linea del Piave», o nel «decalogo istituzionale». Con le dovute e debite differenze di condizione e aggressività (non volle presenziare al passaggio delle consegne) è quanto succede ancora oggi a Craxi, allorché non di rado salta su inviperito a ricordare con pignoleria successi, viaggi e scelte del suo governo che lui tende a considerare indimenticabili. Esautorato dai suoi teorici alleati, De Mita ha invece immediatamente manifestato la sindrome del reduce dispettoso, poi quella del fiero oppositore rispetto a chi gli aveva preso il posto. Storici perciò i battibecchi con Andreotti. «Quando parli tu - gli diceva quest'ultimo - parli sempre contro». Poco dopo De Mita gli fece dimettere cinque ministri. Come al solito è Andreotti il modello ideale per Prodi. Niente fughe, niente recriminazioni, niente patetiche auto-caricature. Lentamente, discretamente, girava il mondo con l'Interparlamentare, tesseva relazioni, costruiva il ritorno. Ogni tanto si concedeva qualche latinità: «Multa renascentur quae iam cecidere», rinasceranno molte cose che erano cadute. «Non mi vedrete ai giardinetti» diceva. Per certi versi ha avuto ragione. Filippo Ceccarelli E di Fanfani si disse addirittura che voleva ritirarsi in convento lasciando moglie e figli Agnelli all'ex premier: ero pronto a votarla ma l'avrebbero fatta morire giorno per giorno Ciriaco De Mita Amintore Fanfani

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