«Un governicchio? Mai»

«Un governicchio? Mai» ^¥1111111 «Un governicchio? Mai» L'expremier: non ci sono le condizioni LBOLOGNA ASSU'! Lassù!», gridano i fotografi. E quando (dalla finestra) entrambi sorridono a questa truppa di teste e teleobiettivi, si capisce che un doppio umor nero li sovrasta. Così come va inteso quasi tutto al contrario quando (infine) D'Alema scende a dire: «Prodi è il leader della coalizione. L'ho informato della situazione. Aspetteremo martedì per valutare le ipotesi. Decideremo insieme». Detto tutto d'un fiato, ma un secondo dopo che Prodi, sceso anche lui in maniche di camicia fino alla soglia del portone, in silenzio perfetto, è già in cima alla prima rampa di scale, per il suo lungo dietro-front. La verità va intesa così: il leader della coalizione (come dice D'Alema) si è già informato da sé della situazione e quel che vede preferirebbe non vederlo. Tant'è che non ha così voglia di aspettare martedì, e non lo farà. Ha già valutato quasi tutto, compresi i tripli inganni che hanno incartato la sua maggioranza fino al quel lampeggiante reponso numerico - 313 a 312 - che ha archi viato il suo governo ulivista sotto la voce: «Respinto». E dunque «le ipotesi», anzi la so la oggi in circolazione qui < Bologna, il fantomatico «Prodi bis», gli piace poco, pochissi mo, nulla. La sentenza, alme no per oggi, è: «Non farò il pre sidente di un governicchio». Lo svelamento del temporale in corso avviene alla fine di una giornata luminosa. Roma no Prodi fila via in bicicletta all'alba: 70 chilometri di risa lite nella Val di Zena. Torna, sparisce in casa, più o meno negli stessi minuti in cui Mas simo D'Alema atterra. Lo aspettano a un convegno sul l'educazione e lui, educatamente, annuncia: «Bisogna costituire un governo per approvare la legge Finanziaria... La cosa che ci sembra più ragionevole - dice D'Alema - è che si dia l'incarico all'uomo che quella Finanziaria ha presentato, cioè il presidente Romano Prodi». E poi: «Ci incontreremo a colazione». Prodi è a casa, aspetta. Vanno e vengono fratelli, figli, nipoti. Lui sbriga telefonate, compresa quella dell'Avvocato Giovanni Agnelli che gli dice: «Ero pronto a votarla al Senato... Mi dispiace... Ma lei ha fatto bene a dimettersi, perché l'avrebbero fatta morire giorno per giorno...». D'Alema arriva all'una. Scende, rotea lo sguardo come il faro di una secca: luminoso e muto. A trasformare quella luce in parole ci pensa il suo staff che si dispiega lungo via Gerusalemme, mentre il segretario si smaterializza al di là del portone. La chiave della crisi - ti spiegano - è in quattro punti e un patto. Il patto è: niente elezioni. E poi di seguito: varare un Prodi bis. Approvare la Finanziaria. Affrontare uniti la successione al Quirinale. Cambiare la legge elettorale. E dopo? Occhi perplessi: «Dopo si vedrà». Possibile che Prodi accetti di farsi bruciare così? «No, nessuno lo vuole bruciare...», ti dicono con una mezza aria da piromani. Lassù - per stare in argomento - vanno via tagliatelle fumanti e poi pesce spada. Due ore in tutto. Poi la comparsala alla finestra. La finta risata. Poi la discesa di D'Alema. «Abbiamo mangiato benissimo e cordialmente» dice come fosse vero. «Continueremo a tenerci in contatto per capire come si incammina la crisi e risolverla insieme - dice calcando sulla parola "insieme" -. Penso che la prossima settimana, martedì, si capirà qualcosa di più, perchè oggi i termini della situazione politica non li abbiamo. Ragionere¬ mo insieme - ripete -. Del resto siamo una coalizione...». Pausa. Sospiro: «E' naturale che il presidente sia amareggiato da quello che è successo. Ma è un leader politico, il leader di una coalizione e questo comporta una valutazione comune». Pausa. Sospiro: «Prodi non è un libero professionista ingaggiato...». Arriva l'ultima frase: «Il presidente vuole vedere quali sono le condizioni per proseguire. Vuole capire se queste condizioni esistono per fare un governo stabile, il solo che possa giovare davvero al Paese». Ed è appunto in questa ultima frase la traccia abbondante di quello che davvero (e per due ore) Romano Prodi ha ripetuto a D'Alema e - via telefono - al presidente Oscar Luigi Scalfaro, a Marini, a un bel po' di suoi ministri, a un bel po' di suoi consiglieri bolognesi: «Le condizioni non ci sono». L'idea che si è fatto della situazione è presto detta: veti e inganni incrociati, voltafaccia, provincialismi di piccola politica partitica, hanno affondato quel che si era costruito con fatica. Due Finanziarie lacrime e sangue. L'aggancio all'Euro. Il costo del denaro diminuito quattro volte. L'inflazione ridotta ai minimi. Tutto buttato all'aria e malamente, in cambio di una crisi diventata matassa. Per poi impiccarsi «a un governicchio». Quando alle cinque Romano Prodi esce con la moglie - destinazione Reggio Emilia, mostra del togliattizzato Guttuso - la faccia è nera e il ton>j secco: «Per formare il governo ci devono essere due condizioni: primo, che lo si possa fare coerentemente al patto con gli elettori. Secondo: che la situazione parlamentare lo consenta. Non mi sembra che alcuna di queste condizioni sussista». Non è un addio, anche se gli assomiglia. Pino Corrias

Luoghi citati: Bologna, Reggio Emilia, Roma