Ecco Schubert fra i suoi padri
Ecco Schubert fra i suoi padri Con «Specchio», Mozart & C Ecco Schubert fra i suoi padri Wolfgang Amad"7v~|UARANT'ANNI a cavallo I 1 tra Sette e Ottocento, il I I cuore del periodo classi1 I co: lasciate alle spalle le y I architetture di Bach e le V fiammeggianti visioni di Scarlatti, il secondo compactdisc che Specchio e la Deutsche Grammophon dedicano alla Storia della Sonata - in edicola da oggi - incontra tre opere di Mozart, Beethoven e Schubert. Tra Rivoluzione francese, età napoleonica, Restaurazione, cambia il rumore del mondo, muta il suono della musica; si consuma l'addio al clavicembalo, emerge il protagonismo del pianoforte, lo strumento che nella sua meccanica e nei risultati espressivi sembra schiudere le passioni dell'età romantica. La musica, che ancora scrittori e filosofi del Settecento giudicavano incapace di esprimere le sottigliezze del pensiero, pretende ora di rovesciare il primato, di dire quanto le parole non riescono neppure a balbettare, secondo una celebre definizione di Cari Dalhaus a proposito dell'estetica romantica. Non incontreremo più echi galanti, ma un'ebbrezza figlia di stati d'animo più nervosi, contrapposti e simultanei. La Sonata per violino e pianoforte K 526, l'ultima composta da Mozart, due mesi prima del debutto del Don Giovanni, sciala la sua abbondanza di temi e melodie con un'esuberanza che l'interpretazione di due musicisti come Daniel Barenboim e Itzhak Perlman affronta cori perentoria baldanza, con un gusto della sonorità tutto rivolto alle nostre orecchie di contemporanei. Tanto più risalta la Umpidezza, il controllo, l'equilibrio, il pudore che Mozart pretende nell'Andante. Risuona esatta la frase di Alfred Einstein: «Un us Mozart istante d'eternità, per permettere ai giusti di gustare l'aspra dolcezza dell'esistenza». Contemplazione ed esuberanza, abbandono e sovrano controllo: è questo l'equilibrio, così arduo da rendere, che distingue la «bellezza» della musica di Mozart dal carattere di Beethoven? Ma il gusto per le associazioni meno prevedibili, ha fatto accostare alla K 526, l'opera 110, la Sonata per pianoforte che svela un umanissimo Titano: l'eroe diventa viandante, «con amabilità» perfino, magari per pochi tratti prima di intraprendere la scalata della fuga e poi di nuovo pretendere un «recitativo» che sappia rendere alla tastiera le sfumature, il calore e le dolcezze della voce umana. Interprete è Emil Gilels, in una registrazione berlinese del 1985, l'ultima prima della scomparsa: l'intensità sobria del suo pianismo, il piacere della riflessione incontra un abbandono melodico nuovo, inaudito. Wilbelm Kempff, invece, interpreta la Sonata D 958 di Schubert e conferma quanto giusta sia stata la definizione di «poeta del suono». L'esattezza della pagina scritta è, sotto le sue dita, meno vincolante del gusto per il fraseggio, il respiro, l'invenzione brevissima e unica, così congrua a questo Schubert estremo: la Sonata in do minore è scritta nell'autunno del 1828 e; come tante sue opere degli ultimi anni, verrà pubblicata postuma. Di quale Beethoven è figlio Schubert, mentre la sua audacia rispetto alle convenzioni del tempo ha fatto giudicare «informale» questa Sonata? Con la tarantella - incerti sempre i confini tra il popolare e il colto che attraversa, scompare, ritorna nel vortice dell'Allegro conclusivo, [s. cap.] Wolfgang Amadeus Mozart
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