Christo sul fiume di stoffa

Christo sul fiume di stoffa Il grande impacchettatore e Jeanne-Claude trasformano Palazzo Bricherasio a Torino Christo sul fiume di stoffa Velari e schermi per intrighi immaginati A 1 TORINO | 1 UAL ò il mio lato migliore?» I I chiede all'operatore della 1 ■ Tv, apprensiva come una Y I diva sulla scala del tramonV to Jeanne-Claude. Quella scala che all'interno di l'alazzo Bricherasio è diventata una sorta di fiume solido di tessuto color panna che non smette di sbottare, di franare, di panneggiarsi, Guai chiamarla signora, ora che si posa come un'odalisca datata sulle onde di panno e si lascia piluccare dalle domande: «lo sono Jeanne-Claude, un artista, non sono Lady Christo», protesta, la fiammata di capelli color carota sempre più accesa. E mille sono le (pur ironiche) raccomandazioni a operatori e fotografi. Non avvicinarsi troppo («se no ci viene una faccia lunga, da vecchi»), non riprenderla mai mentre l'urna, non evidenziare le rughe. Lui abbozza, come quei mariti che si guardano un po' vinti la moglie che intanto bisbetica col controllore: poi le porta via la parola, con tanto di smaneggiamento da vigile del traffico, e tocco e ritocco, sottobanco. Sono diventati leggendari cosi, fondendo insieme la loro biografia e continuando a litigare da una vita, così che dai loro perpetui battibecchi creativi ne nasca come la bava ininterrotta di un'opera intessuta, che non smette di ricoprire e vellicare il loro mondo gulliveriano. Le rughe, appunto: a guardare questa ex-dama della buona borghesia, che e scappata via col ritrattista ufficiale d'ambasciata (quel ragazzo allampanato costretto dal Realismo Socialista a dimostrare il suo talento di fisionomista, poi diventato impacchettatore del mondo, come a prendersi una rivincita contro quel potere totalitario che l'obbligava a mimare le sagome dei volti che odiava) viene il sospetto che con le opere titaniche, alla Fitzcarraldo con cui incalzano il nostro pianeta, in realtà vogliano imporre una loro strampalata e cosmica campagna di lifting perenne e derisorio, qui rimettendo a posto il sussiego risorgimentale di Vittorio Emanuele a cavallo, lì ridimensionando l'orgoglio nazionalista dei Reichstag di Berlino, trasformato in un fantasmone ghiacciato e goffo. L'affascinante e liliale mostra che si apre oggi, offre infatti non soltanto una classica installazione in loco, ma anche un «pacchetto» vivace e vibratile di annosi progetti (molto spesso non realizzati) e di future utopie, cui questa figura bucefala-duale di artisti sta lavorando da oltre un trentennio. Così presto in Central Park dovrebbe garrire una quantità innumerevole di bandiere apolidi e senza patriottismo, fragili e vulnerabili «come le foglie». Ma quando si vedono i bellissimi progetti di Over the River (Christo ò comunque un grandissimo disegnatore) si capisce davvero qualcosa di più della loro infaticabile poetica, profusa in quel folle, onirico progetto di imporre un fiume di cellophane e di luce sopra il vero fiume fluente d'acqua del Colorado. Come se l'immenso io espansivo di un Narciso sconfinato si fosse specchiato nel liquido nastro cangiante e avesse voluto rivaleggiare in fascino visionario, doppiando quel canto d'onda. Visionaria, spettrale, inquietante risulta anche quest'«implosione» a l'alazzo Bricherasio, che tampona la nostalgia per un progetto impossibile e svanito: incellofanare il Lingotto. Questo tappeto infinito di panna, invece, non avvolge l'ester- no dell'edificio ma, come nel Merzbild di Schwitters, si limita a invadere l'interno del piano nobile, quasi un serpente liquido ed increspato, che fuoriesce da porte, specchi, camini. Un'alluvione solida di schiuma di tessuti brizzolati di pieghe e riccioli e convolvoli (si prevedono assicurati inciampi di visitatori distratti, ma gli studenti dovranno lasciare le scarpe alla porta). Una colata di bave solide, come se un'enorme lumaca intraprendente avesse lappato via da quelle stanze ogni memoria di una vita preesistente. E l'effetto è dirompente: come una casa degli spiriti partiti per la villeggiatura. Perché, come ricorda Jeanne-Claude, nascondere, impacchettando, è anche sottolineare, far vedere. E la psicoanalisi ci ha insegnato quanto il piacere morboso, indicibile nasca proprio dall'interdetto, dal proibito. A questo effetto di voyeurismo dell'impossibile, si rivolge probabilmente quel progetto degli anni Sessanta di Store Front, un semplice velario di carta da pacchi che impedisce lo show abituale e mercantile di una vetrina: non c'è, in scena, che lo spettacolo del non poter vedere, l'impotenza dell'occhio fattasi scultura, monumento ironico. Come quando ci si immagina quale mai storia di simenoniani intrighi si svolga dietro quell'innocente pecetta che proietta una drammaturgia vuota di ombre: un trapestio di storie immaginarie. E forse, dietro, non c'è nulla. Grande regista di effetti spettacolari, Christo, che è sta to tra i primi a intuire il fascino povero di un bidone del petrolio segnato dalla vita, coi suoi colori Léger impastati di grassi. 0 lo charme sfatto di un materasso che urla il proprio prolasso uterino, enfie pance gravide che paiono crollare dal muro, soffiando immaginosamente le pareti. Anzi, l'ultimo degli esteti, con Burri: un Whistler dell'imballaggio. Marco Vallora Christo e Jeanne-Claude Palazzo Bricherasio di Torino. Tutti i giorni dalle 10 alle 19, il lunedì dalle 14. Sino al 17 gennaio Un'alluvione di tessuti tra le stanze una felice esplosione di effetti visivi Christo mentre prepara l'installazione di Palazzo Bricherasio Qui accanto un particolare della Little Bay impacchettata in Australia nel 1968-69

Persone citate: Burri, Jeanne-claude, Marco Vallora, Schwitters, Whistler

Luoghi citati: Australia, Berlino, Colorado, Front, Torino