Elezioni? L'Ulivo non ci sta di Irene Pivetti

Elezioni? L'Ulivo non ci sta Elezioni? L'Ulivo non ci sta Troppi rischi, spunta un governo tecnico IROMA O - ha detto Irene Pivetti al ministro degli Esteri - vorrei tanto che il governo sopravvivesse, ma non posso dare io il voto decisivo». A quel punto, a situazione compromessa, Arturo Parisi, sottosegretario di Prodi, ha fatto l'ultimo tentativo per convincere gli ex pattisti, con Masi Bicocchi, cioè i cossighiani eletti nelle liste dell'Ulivo, a votare la fiducia. Un tentativo vano. Così alle 9 di ieri mattina un D'Alema perplesso recitava il de profundis per il governo: «Il governo cade». Qualche ora dopo, al termine del vertice dell'Ulivo, il segretario della Quercia ne avrebbe recitato un altro, quello sulla maggioranza del 21 aprile. Tutto finito. Tutti i sogni di gloria di Prodi che appena l'altro ieri, convinto di avere già la fiducia in tasca, si compiaceva di «aver stravinto», di essere addirittura «il king maker del prossimo Presidente della Repubblica», sono finiti nel cassetto. Ieri poco dopo mezzogiorno, quando i tabelloni luminosi di Montecitorio hanno calato il sipario sul governo, sul premier e sul suo «vice» si sono abbattute le ironie, le contumelie, le offese di quegli alleati che per mesi la coppia di Palazzo Chigi ha trattato alla stregua di balbuzienti. «Non ho mai visto - è sbottato Ciriaco De Mita - un idiota come il presidente del Consiglio. Non si è accorto di quello che stava accadendo». Franco Marini, invece, è uscito dall'aula prendendosela con un non meglio precisato «cogl....» che non aveva ascoltato il consiglio di procurarsi «4-5 voti di riserva». Lamberto Dini si è lasciato andare in privato ad un'analisi spietata: «La responsabilità della crisi è al 99% di Veltroni che per i suoi giochi interni alla Quercia ha finito per mandare allo sbaraglio Prodi». Infine D'Alema. Il segretario della Quercia ha cercato di trattenersi, di evitare battute sarcastiche sui due «geni» di Palazzo Chigi, ma poi nella riunione dei segretari dell'Ulivo ha sentenziato: «In questi giorni abbiamo assistito ad una condotta contorta e velleitaria». Appunto, tutto archiviato. Ie¬ VNCollcom ri non era più Prodi a sentirsi onnipotente, ma Clemente Mastella: «Cossutta parla di un Prodi bis? Cossutta deve stare zitto, perché lui ha puntato sul numero sbagliato. Veltroni deve tornare a fare il critico cinematografico. Hanno cercato di fregarmi i deputati e io ho fregato i loro, gli ho fatto franare Rinnovamento. No, niente Prodi-bis. Quell'uomo è impopolare, lo dice anche mia moglie. Ciampi? Neppure lui. Non piace né a noi, né a Dini. Se voglio fare il ministro? Con quello che passa il convento potrei fare il presidente del Consiglio. Le elezioni? Io non ne ho paura: se tratto, magari anche con Berlusconi, potrei chiedere anche settanta deputati...». A poche ore dal siluramento del governo, dell'epopea dell'Ulivo non c'è più neppure il ricordo. Il Palazzo, come consuetudine, si è scordato tutto, financo del nome di Prodi. Anche se i segretari dei partiti dell'Ulivo hanno lanciato l'idea di un governo Prodi-bis che, avvalendosi di una maggioranza allargata all'Udr, dovrebbe durare il tempo necessario per approvare la legge finanziaria, ebbene, quella proposta più passano le ore e più somiglia a un atto dovuto, ad un ultimo ossequio al ore uro» ca o leader defenestrato. Intanto perché lo stesso Prodi è ritroso, non vuole guidare una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne il 21 aprile. Lo ha detto a Scalfaro, lo ha ripetuto in Consiglio dei ministri, lo ha fatto sapere ai segretari della sua ex maggioranza. Eppoi perché le prime mosse dell'uomo che in questo momento ha in mano le carte per risolvere la crisi, cioè Francesco Cossiga, vanno in ben altra direzione: l'ex Capo dello Stato, infatti, tenta di coinvolgere sia D'Alema sia Berlusconi in un governo tecnico che dovrebbe approvare la legge finanziaria. Ieri sera Cossiga ha visto il Cavaliere e oggi vedrà il segretario della Quercia. Ecco perché è molto difficile che il nome del premier dimissionario possa tornare a galla. Lui, insieme a Veltroni, ha come unica mossa di riserva il tentativo di andare alle elezioni. Non per nulla in questi giorni il Professore ha sbattuto sul tavolo in più di un'occasione un sondaggio che darebbe l'Ulivo vincente. A molti addirittura ha fatto venire in mente il Berlusconi dei primi mesi del '95, quello che dopo il ribaltone voleva andare a tutti i costi alle urne. E Prodi rischia di fare la stessa fine del suo predecessore. Ieri nella riunione di piazza del Gesù su un unico punto, infatti, si sono trovati d'accordo D'Alema, Marini, Dini, il socialista Boselli, il neocomunista Cossutta e il verde Manconi: in queste condizioni non è proprio il caso di sfidare la sorte. E allora? Come avviene in questi casi, piano piano si sta facendo strada l'ipotesi del governo tecnico o istituzionale. Si parla di Prodi, ma in privato già si fanno i nomi dei soliti salvatori della patria. Anche nella riunione dell'Ulivo questa ipotesi classica è venuta a galla. Cossutta ha detto di essere disposto ad appoggiare un governo tecnico che dovrebbe approvare la legge finanziaria. Anzi, è andato anche oltre facendo i nomi di Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Un discorso simile lo ha fatto anche Dini: «Ci vorrebbe un governo simile a quello che feci io nel '95». Il ministro degli Esteri che ieri si è intrattenuto a lungo sulle poltrone di Montecitorio con Silvio Berlusconi fa il nome del presidente del Senato, Nicola Mancino, e sotto sotto pensa anche a se stesso. Insomma, siamo al dopo Prodi, ai governi di decantazione. Se ne è accorto anche il Cavaliere, che dopo un colloquio telefonico con Cossiga ha messo da parte la solita litania sulle elezioni, facendo capire che è pronto ad accettare una subordinata. «Non lascio certo tutto lo spazio a Cossiga», ha detto. Un'apertura che si coglie tutta nei ragionamenti di Gianfranco Fini. «Non credo che la crisi si concluderà con un allargamento della vecchia maggioranza all'Udr. A Scalfaro non piace questa soluzione. In campo ci sono solo due ipotesi: o il governo tecnico, o le elezioni. E noi abbiamo carte da giocarci in tutti e due i casi». Già: si apre un'altra fase e all'improvviso anche chi era emarginato fino a ieri ha le sue carte da giocare. Augusto Minzolini Mastella: volevano fregarmi i deputati e io ho rubato i loro Rinnovamento gli è franato sotto i piedi D'Alema: che geni quei due a Palazzo Chigi. Siamo caduti per una condotta contorta e velleitaria