«Giusva, vorrei abbracciarti»
«Giusva, vorrei abbracciarti» Parla Cristiano Fioravanti, che dopo l'arresto decise di pentirsi e di accusare Valerio DUE VITE «Giusva, vorrei abbracciarti» // fratello: ma non rinnego la mìa scelta CROMA RISTIANO Fioravanti, ha saputo di suo fratello Valerio? «No, che cosa?». E' uscito per il primo permesso premio. «E' uscito? Ah... Sono contento... sono davvero contento. E dov'è ora, a casa con papà?». Sì, praticamente sono quattro giorni di arresti domiciliari. «Ah... A me non hanno detto nulla, io ormai sono fuori della famiglia, non sento più nessuno da un sacco di tempo. Però...». La voce si ferma, si sente un primo singhiozzo. «Però sono contento, davvero... Perché lui sarà sempre mio fratello e io...». Adesso il pianto è quasi a dirotto, e a fatica si comprende il seguito della fra se: «E io gli voglio sempre bene... Mi piacerebbe molto riabbrac ciarlo, anche se so che per ora non è possibile». Cristiano Fioravanti, come suo fratello Valerio, era un terrorista «nero» dei Nar. Di tre anni più giovane, ma quasi un gemello per la somiglianza fisica, Cristiano è quello che per primo, negli Anni 70, cominciò con la politica violenta nelle file dell'estrema destra. E finì per trascinarsi dietro Valerio che, adolescente, scese in strada a picchiare e a sparare insieme con suo fratello e un pugno di altri «camerati», che credevano di essere i ragazzi della via Paal. Fianco a fianco, giorno e notte, a meno di 20 anni si sono trasformati da picchiatori a terroristi a latitanti, ammazzando «compagni», poliziotti e magistrati. Ma nella primavera del 1981 la folle corsa finì. Prima fu arrestato Valerio, due mesi dopo Cristiano, il quale in pochi giorni decise di fare il grande passo: si pentì, e co minciò a raccontare tutto alle «guardie», facendo catturare tanti amici. «L'ho fatto perché non vedevo altra strada per uscire da quell'incubo - ha sempre detto e ripete adesso -, speravo lo facesse anche Valerio». Invece Valerio non lo fece. Anzi. Saputo del «tradimento», per lui Cristiano non fu più un fratello ma «un infame», e nei primi periodi della detenzione, ogni volta che un magistrato lo convocava, sperava di essere messo a confronto con lui per saltargli addosso e tentare di ucciderlo con le proprie mani. Da allora, per Valerio, Cristiano è stato un uomo morto, e piano piano anche il resto della famiglia ha finito per rimanere accanto a lui e a Francesca Mambro, sua moglie, lasciando Cristiano alla sua strada. La strada del pentito che, dopo qualche anno di galera, è uscito e s'è rifatto una vita, con una nuova identità, un lavoro, una moglie e due bambini, in una città del Nord. «Tempo fa mia sorella mi aveva invitato al battesimo di suo figlio - dice ora Cristia no -, ma sarei dovuto andare solo io, senza la mia famiglia. Come si fa a chiedermi questo? Io sono stanco di dovermi sempre scusare e giustificare per quello che ho fatto». Tra le tante accuse che nel corso degli anni e dei processi il pentito ha scaricato addosso al fratello (alcune un po' «forzate», per sua stessa ammissione), c'è pure una dichiarazione di estraneità al delitto più grave e che più brucia per Mambro e Fioravanti, l'unico per il quale si proclamano innocenti nonostante la condanna definitiva: la strage di Bologna. «Loro con quella bomba non c'entrano - ripete Cristiano -: io lo so, perché so che il principale accusatore mente, e perché noi di cose del genere non ne abbiamo mai fatte. Ma quello è stato un processo politico, fin dal primo momento; li hanno condannati senza uno straccio di prova. Stanno cercando gli elementi per la revisione? Io gli auguro di trovarli, ma sarà difficile». Oggi però è il giorno in cui «il traditore» cerca di carpire qual¬ cosa su quello che, nonostante tutto, lui continua a considerare suo fratello: «Sta bene? Io gli auguro di sì. Ho sentito dalla tv che pure Francesca è riuscita ad ottenere il lavoro esterno al carcere, e mi fa piacere. Davvero, sono sincero». Ma in tutti questi anni Cristiano Fioravanti si è pentito di essersi pentito? «No, questo no. Io sono convinto di aver fatto la cosa giusta,.tutti hanno avuto quella possibilità. Ma ormai è passato tanto tempo, sarebbe ora di dimenticare. Vorrei rivedere Valerio, però...». Però? «Però io non posso più accettare processi, non posso passare il resto dei miei giorni a giustificarmi...». Ricominciano i singhiozzi. «E' una cosa che vorrei dimenticare ma che mi porto dentro, ho ripreso pure la psicanalisi. Da una parte mi piacerebbe rivedere Valerio, ma dall'altra ho paura... Io di lui ho conosciuto una parte positiva e una negativa, come faccio a sapere quale delle due ha prevalso? Se un giorno saremo tutti più sereni, allora forse sarà davvero possibile riabbracciarlo...». Le lacrime interrompono di nuovo il discorso, e Cristiano Fioravanti lancia l'ultimo messaggio, forse l'unico: «Lo saluto, e gli auguro che riesca a uscire definitivamente, a rifarsi una vita, a sistemarsi...». Nel centro di Roma, l'altro capo di un filo spezzato da .tanti anni, Valerio Fioravanti, continua a vivere i suoi quattro giorni di permesso chiuso in casa e senza poter comunicare con l'esterno. Al suo fianco c'è Francesca Mambro, che ascolta il messaggio di Cristiano e dice: «Ognuno è responsabile di quello che ha detto e ha fatto. Il tempo è galantuomo. Cristiano sapeva e sa meglio di chiunque altro chi è Valerio». Giovanni Bianconi «Di lui ho conosciuto una parte positiva e una negativa, come faccio a sapere quale delle due ha alla fine prevalso?» «So che lui e la moglie con la bomba di Bologna non c'entrano. Cose del genere non ne abbiamo mai fatte» Valerio Fioravanti e nella foto a sinistra un'immagine della strage di Bologna del 2 agosto 1980 per la quale è stato condannato all'ergastolo con la moglie Francesca Mambro
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