Sugli spalti eli Belgrado di Giuseppe Zaccaria

Sugli spalti eli Belgrado Sugli spalti eli Belgrado Tra minacce e paura la Serbia si sente sola REPORTAGE NEI BALCANI IN FIAMME PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO All'aeroporto, dietro la grande vetrata su cui mia mandria di persone schiaccia il naso in attesa di chi arriva, c'è anche la faccia di Milenko, solo che si tratta di una faccia senza espressione. Sfiora i due metri l'amico serbo, veleggia verso i centocinquanta chili, per anni è stato autista di fiducia di uno che ha girato l'area in lungo e in largo. Eppure anche se è qui per farti ancora da tassista, adesso finge di non riconoscerti, guarda verso un punto indistinto al di là della folla. Più in basso, però, l'enorme mano mostra un pollice che ti fa cenno di uscire da una certa porta laterale. E allora, Milenko? Una volta fuori dall'«aerodrom» la cosa comincia a perdere i toni kafkiani. «Sai spiega l'omone - da ieri ai cittadini jugoslavi è vietato avere contatto con gli stranieri, c'è lo stato di emergenza, mi spiace, non potevo farmi vedere da tutti... Ma adesso clie sei arrivato, sai che c'è? Me ne frego e ti abbraccio». Qui intorno, all'aeroporto di Surcin, falangi di eleganti e preoccupati occidentali fanno la fila di fronte alle porte di imbarco. Sono diplomatici americani, inglesi, australiani, neozelandesi, funzionari dell'Osce, deU'Uiihcr e di tutte le ardue sigle dietro cui le articolazioni dell'Orni si nascondono. Vanno via. Sull'autostrada che mota intor- no a Belgrado il traffico è pazzesco. «Se ne stanno andando tutti», spiega il Milenko ritrovato. Vanno in campagna, in provincia. I «media» di Stato continuano a presentare la minaccia di attacco della Nato co- me la vigilia di mia seconda invasione nazista, o di ima terza germanica, di mia quarta turchesca, e così via. «La psicosi sta avanzando - continua l'autista -. Mia figlia l'altro ieri è tornata dalla scuola, e aveva indosso un cappellino stile americano, un giubbotto "bomber" e uno zaino con attaccata la foto di Leonardo Di Caprio. Mi ha detto: "Ma papà, davvero ci bombardano? Dai, scappiamo in Occidente..."». Altro, straordinario esempio della confusione che oggi coglie quanti per anni hanno coltivato l'illusione di difendere l'Europa dai barbari islamici, ed oggi vedono i presunti difesi partire all'attacco. Sta succedendo di tutto, a Belgrado. Lungo l'autostrada che conduce a Sud, verso la Serbia profonda e poi la Grecia, e volendo anche il Kosovo, la radio continua a lanciare notizie dell'altro mondo. Voijslav Seselj - sì, ancora lui, Lr.-.——rr^ r» quel mostro nazionalista partorito dal frustrazioni secolari ed ingrassato dalla miopia dell'Occidente ha tenuto una conferenza stampa. Quelle di qualche tempo fa erano conferenze di un capo-popolo, quelle di oggi sono del vicepresidente di Serbia. Ci manda a dire di stare attenti. «Chi porterà ad un'aggressione contro di noi ne pagherà le conscguenze», fa sapere. Adesso, andrebbe forse ricordato che Seselj è la stessa persona che nel '93 (quando ancora contava nulla) minacciava di far lanciare contro l'Italia missili con testate riempite di scorie nucleari. E' la stessa persona contro la quale chiunque conosca appena questo Paese mette inutilmente in guardia il resto d'Europa. Nel '93 per fortuna quei missili non partirono. Oggi, ci si manda a dire che so non parteciperemo all'attacco Nato potremo forse stare tranquilli. Siamo però assolutamente certi che il controllo di Milosevic sull'Armata serba sia tale da impedire che un qualsiasi gruppo di radicali, di nazionalisti, di esaltati prema un bottone e trasformi questo «wargame» in qualcosa di enormemente più complicato? Ecco, probabilmente, quello di cui gli stessi sorbi oggi hanno paura. Temono non soltanto la stolida (dal loro punto di vista) potenza di fuoco dell'Occidente, ma le reazioni che la loro stessa gente potrebbe scatenare. Riaffiora il complesso della Storia che colpisce, dell'Imponderabile che si scatena, di un'ineludibile julla secolare pronta ad esplicare ancora una volta i suoi perfidi effetti. Traversata da Nord a Sud in un pomeriggio di pioggia e di vento, la Jugoslavia di oggi offre dovunque le stesso immagini di preoccupazione sospesa, di tragedia tanto attesa dall'apparire inevitabile. Dopo quattrocento chilometri di strada tra Belgrado e Pristina, questa sera mi sento di testimoniare che non si vedono più blindati, né reparti di polizia, né cannoni, né mitragliatrici. Solo nelle campagne si può notare una certa attività. «Sono cacciatori», ha spiegato chiunque si sia sentito chiedere cos'erano quegli strani personaggi clie si vedevano muoversi lungo declivi e colline. Sarà vero. Significa che in Kosovo la caccia si è aperta pochi giorni fa e che le decine, forse centinaia di sagome che si vedevano scorrere lungo il panorama, annate di doppiette o quant'altro, erano lì in attesa delle starne. Non di mi eventuale rigurgito d'indipendentismo albanese. Giuseppe Zaccaria Seselj che nel '93 voleva colpire l'Italia come vendetta ripete: la pagherete cara All'aeroporto file di cittadini occidentali sono in attesa di andarsene

Persone citate: Leonardo Di Caprio, Milenko, Milosevic, Seselj