LA CANTILENA DI JOVANOTTI

LA CANTILENA DI JOVANOTTI LA CANTILENA DI JOVANOTTI Un diario tra naif e stupore ROWING up in public» («crescendo pubblicamente») intitolò un suo album l'oggi acclamato poeta Lou Reed, dopo trent'anni di lavoro legittimato quasi in sede accademica, dove cantanti e menestrelli fanno fatica a ricevere la tonsura, si sa, così poco seriosi. Reed, in un'intervista del 1991, definì il suo lavoro «una serie di lettere autobiografiche» rivolte a tutti. Lo stesso si può dire degli album (dei libri) di Lorenzo Cherubini, mediatico diapason nostrano capace di registrare, con una sincerità quasi imbarazzante, i sentimenti collettivi, facendo della propria crescita interiore un manifesto trans-generazionale ma anche il diario di un'intimità che si riscopre a <•. intatto con gli altri, in cerchi sempre più ampi partendo dall'io modaiolo degli Ottanta fino a sfiorare il grande boh, l'immediato sentimento della trascendenza come vettore di un'esperienza umana entusiastica Un misto dì New Age e rock: un comunicatore che sa far vibrare il linguaggio anche con un lessico limitatoe contagiosa. Il grande boh!, pubblicato da Feltrinelli, è il diario di un inesausto comunicatore. Che sa far vibrare il linguaggio anche con un lessico limitato e con una sintassi che deraglia ma sempre al punto giusto, naturalmente emotiva e di conseguenza, ma il passaggio è tutt'altro che immediato, emozionante. Paratassi con florilegio di nessi relativi e casuali improbabili su carta ma proprio su carta ricchi del sapore di un parlato urgente: quello dello scopritore, che vede le cose e non le almanacca ma le dipinge con grazia naif possente o meglio le fotografa verbalmente lasciando trasparire il ritmo delle cose nel periodare spesso quasi cantilenato, certamente musicale: «E così conserverò in una tasca invisibile un po' di questo vento ed è l'unico souvenir che mi porto via da questi luoghi e ne regalerò un po' per uno a tutti quelli che troverò al mio ritorno. Conserverò le cose che nelle foto non si vedono e nelle parole non si comunicano: i profumi, le temperature, le strette calde di mani dure, acqua di sorgente che rida vita alle mie gambe stanche, erba che punge quando la schiena nuda ci si sdraia sopra, musica di uccelli canterini, facce di cani allegri, addii di cani depressi, paura del buio, curve che nascondono case, sentirsi stretto tra due oceani, essere acqua, essere sole, ridere da soli in mezzo alla natura, scalciare come fanno i bimbi dentro la pancia della mamma, urlare e cantare in sella a una bici mentre mani di aria ti spingono su per una salita, sognare la tua casa, la tua gente, la tua città e svegliarsi in una capanna di legno con una mucca che ti dà il buongiorno e lavarsi la faccia con la sua acqua, vivere con tutte le cellule del corpo come se ognuna avesse la sua piccola anima, il suo piccolo sorriso, la sua piccola disperazione». Retroterra New Age in salsa etnica con piglio rock ma anche con l'umiltà di chi usa uno strumento non per vezzeggiarne il possesso ma appunto per usarlo («... sono uno che racconta mondi che ha visto e mondi che vuole vedere, e che non conosco a fondo la lingua del posto, la lingua degli stanziali, strimpello strumenti e parlo male diverse lingue e di volta in volta ho bisogno di musicisti e interpreti per metter su le tende nel luogo e restare finché non mi riprende il senso di irrequietezza che mi porta a fare di nuovo i bagagli e partire»). Leggete allora la descrizione del viaggio nel deserto al fianco dei nomadi berberi tra il Marocco e l'Algeria, o la descrizione della visione della cometa Yakutaky e il felice senso di straniamento e di riammissione che li pervade, o ancora la pastiche à la De Crescenzo illetteratissimo e divertito con riflessioni postAuge sulle divinità greche (l'occasione è un viaggio ad Atene) e coglietene la freschezza e la varietà, come nei testi in versi, sempre in bilico tra l'ovvio e lo stupore dell'inaudito e poi ritrosamente ri- convertiti in filastrocca come nelle bellissime canzoncine dell'epistolario di Puccini in terra straniera ai familiari. Non esiste del resto, in Italia, una tradizione del diario di viaggio, altre essendo le propensioni del nostro narrare («Mi ricordo che una sera, a Venezia, si passava in gondola per uno di quei canali dal silenzio profondo ad ogni tratto interrotto dalla luce e dal rumore di una via che improvvisamente si apre. Augusta, come sempre, guardava le cose eCultura e Industria. E' il programma Enel di tutela dell'industria elettrica. Prevedarricchimento degli archivi storculturali, la collaborazione copubblicazione di nuovi studi e nel nostro Paese. convertiti in filastrocca come nelle bellissime canzoncine dell'epistolario di Puccini in terra straniera ai familiari. Non esiste del resto, in Italia, una tradizione del diario di viaggio, altre essendo le propensioni del nostro narrare («Mi ricordo che una sera, a Venezia, si passava in gondola per uno di quei canali dal silenzio profondo ad ogni tratto interrotto dalla luce e dal rumore di una via che improvvisamente si apre. Augusta, come sempre, guardava le cose e accuratamente le registrava: un giardino verde e fresco che sorgeva da una base sucida lasciata all'aria dall'acqua che s'era ritirata; un campanile che si rifletteva nell'acqua torbida; una viuzza lunga e oscura con in fondo un fiume di luce e di gente. Io, invece, nell'oscurità, sentivo, con pieno sconforto, me stesso», (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, La moglie e l'amante). Aldo Nove Un misto dì New Age e rock: un comunicatore che sa far vibrare il linguaggio anche con un lessico limitato IL PERSOMI IL GRANDE BOH! Lorenzo Cherubini «Jovanotti» Feltrinelli pp. 250 L. 25.000 Nelle foto: Jovanotti e (a destra) uno dei fratelli De Rege, Guido

Persone citate: Aldo Nove, De Crescenzo, De Rege, Feltrinelli, Italo Svevo, Lorenzo Cherubini, Lou Reed, Puccini

Luoghi citati: Algeria, Atene, Italia, Marocco, Venezia