Quell che resta di MARCUSE

Quell che resta di MARCUSE Quell che resta di MARCUSE IO chiamavano il «filosofo del no». Per molti era un guru, un profeta venuto dalla California, ma per tanti altri era un maledetto sovversivo. Herbert Marcuse, alto, elegante, abbronzato dal sole delle spiagge di San Diego, veniva descritto dalle cronache cultural-mondane nel decennio 60-70, negli anni di maggior diffusione delle sue teorie filosofiche, come un tipo tranquillo, dall'eloquio preciso e per nulla cattedratico. Furono proprio quelli gli anni in cui il Marcuse-pensiero trasmigrò dai lidi californiani - dove l'autore di Ragione e rivoluzione e de L'uomo a una dimensione era approdato in fuga dalla Germania nazista - a quelli europei. Il filosofo tedesco, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita (il prossimo anno saranno vent'anni dalla sua scomoparsa), divenne con i suoi scritti il celebrato padre della ribellione giovanile degli anni 60, con il suo verbo anticapitalista, antitecnologico, antimodernista e edonista. Il suo nome fu iscritto nell'icona delle tre santissime «M» dei movimenti studenteschi di tutto il mondo: viva «Mao, Marx e Marcuse», rombava un unico coro che si estendeva dai campus statunitensi alle barricate del Maggio francese. Adesso un convegno, che si terrà a Roma il 15 e 16 ottobre presso il Goethe Institut, organizzato dalla Terza Unitersità di Roma con l'assessorato alla Cultura del Comune e a cui parteciperanno Giacomo Marramao, Lucio Colletti, Leonardo Casini, Francesco Trincia, Roberta Ascarelli, si interroga se quelle sue teorie, che trascinarono milioni di esponenti della generazione del baby-boom postbellico, sono valide ancora oggi. Era un Voltaire del XX secolo, Marcuse, con il suo temperamento profondamente libertario? Oppure fu un cattivo maestro, un picconatore della società liberale, le cui idee hanno prodotto danni? «Per prima cosa bisogna ricordare che la diffusione delle opere di Marcuse, quando cominciarono ad apparire in Italia, fu veramente un fenomeno incredibile - osserva il sociologo Luciano Gallino, traduttore dell' Uomo a una dimensione (pubblicato in Italia da Einaudi nel 1964) -. Di questo saggio, che metteva in discussione la "razionalità" tecnologica, si vendettero in pochi mesi 140 mila copie. Marcuse attaccava la "globalizzazione", ovvero la società appiattita dal tambureggiamento dei mass media. I suoi strali non dimenticavano la Russia sovietica che Marcuse considerava una variante sclerotizzata e burocratizzata della società industriale. Il fi- losofo fu anche, con i suoi Studi sull'autorità e la famiglia e con Eros e civiltà, il vate della libertà dai legami familiari e della rivoluzione sessuale. Inoltre si scagliava contro il liberismo ad oltranza, contro il mercato senza regole. La storia sembra dargli ragione. Di fronte alle crisi mondiali e ai milioni di disoccupati di oggi, sembrano confermate alcune delle sue più nere previsioni». Le parole di, uno dei maggiori esponenti della «Scuola di Francoforte» - prima di lavorare con Theodor Adorno e Max Horkheimer presso l'Istituto di Ricerche Sociali di Francoforte, Marcuse aveva avviato la sua attività accademica a Friburgo nel 1927 - attaccavano la «non libertà» democratica che però mostrava di avere radici profonde. «Mi ricordo che, quando recensii sulle pagine del quotidiano Paese Sera. Ragione e rivoluzione, attaccai quel libro mediocre che sovrappone Hegel e Marx - osserva il filosofo Lucio Colletti, che interverrà al convegno romano proprio su Ragione e rivoluzione -. Aveva scritto, lo dico senza remore, una grossa stupidata: Marcuse attribuiva a Hegel sia la teoria del feticismo delle merci di Marx, sia una critica della società capitalistica che l'autore della Fenomenologia dello spirito non si era mai sognato di formulare. La Fenomenologia fu scritta nel 1806 e pubblicata nel 1807: Hegel non poteva criticare la rivoluzione industriale che ancora si doveva realizzare nel suo più completo sviluppo. Mi piace ricordare che Lukàcs liquidò Horkheimer e Adorno come "due vecchi signori che si erano installati nel Grand Hotel degli abissi". Aveva ragione: Marcuse insegnava in una delle più gradevoli università americane, con belle spiagge e belle ragazze, Horkheimer proveniva da una ricca famiglia di banchieri e anche Adorno non si poteva lamentare: tutto questo bel gruppetto elaborava la "critica della civiltà". Fornirono all'Europa, dove troneggiavano due grandi partiti comunisti, il francese e l'italiano, una condanna della società americana. In un Paese come il nostro pregno di idealismo e di clericalismo, il "marcusismo" mandò in brodo di giuggiole le teste calde del Sessantotto che poi imboccarono la via del terrorismo. Una funzione positiva però Marcuse l'ebbe: esule dalla Germania nazista, con i suoi libri servì a reinserire nel terreno devastato del dopoguerra una cultura "marxistoide" che aprì la strada al socialismo democratico. Quella stessa che il nostro pei imboccò trent'anni dopo. La "Kulturkritik" dei francofortesi, aggiunta al marxismo del pei e allo storicismo crociano, ritardò l'incontro dell'Italia con il mondo moderno». Ma le facce di Marcuse sono molteplici e i giudizi veramente contrastanti: Guido Viale, ex leader del Sessantotto e poi di Lotta Continua, oggi autore di saggi in difesa dell'ambiente, sostiene addirittura che la fama di Marcuse fu un'invenzione di intellettuali e giornalisti: «Gli studenti di Marcuse se ne infischiavano. All'ala antiautoritaria del movimento, a cui appartenevo, non interessava. Figuriamoci poi ai gruppi marxisti-leninisti. Era proprio ignorato». Negli ultimi anni della sua vita filosofo continuò a sposare le ause «rivoluzionarie» di tutto il mondo. Predicava il trionfo dell'eos e delle ragioni dell'estetica e el piacere su quelle della produione. Come valutare questo spetto della sua filosofia? «Fu roprio il suo pensiero a dare al essantotto un tratto innovativo ispetto ai movimenti politici comunisti e rivoluzionari degli anni 0, combinando Marx con Freud e Reich - commenta il politologo e ermanista Angelo Bolaffi -: la ua filosofia testimonia come esita una costante nella tradizione edesca contro l'illuminismo e ontro il liberalismo. Partito dal pensiero di Heidegger lo coniuga con quello di Marx. Oggi però Marcuse è superato anche in Germania, dove un ex barricadiero come Dany Cohn-Bendit va al governo». Per l'Elogio della libertà del pensatore, il filosofo Giacomo Marramao è pronto a spezzare una lancia in sua difesa: «Esiste in ui un'ontologia della libertà, una visione della storia della politica che non è né quella del marxismo né della società liberale. Valorizza l'individuo. Ha criticato il marxismo realizzato e ha predetto il crollo dell'Unione Sovietica, non solo per cause economiche, ma soprattutto per lo sgretolarsi delle basi istituzionali. Mi sembra giusto continuare a ricordarlo». Mirella Serri Eros, utopia e rivolta: un convegno a Roma a cento anni dalla nascita Le opinioni dì Gallino, Colletti, Viale, Bolaffi, Marramao Quell che resta di MARCUSE