IL FASCINO DEL CIARLATANO

IL FASCINO DEL CIARLATANO IL FASCINO DEL CIARLATANO Viaggio nell'altra medicina CIARLATANERIA E MEDICINA Giorgio Cosmacini Raffaello Cortina editore pp. 252 L 35.000 IARLATANO, nella definizione di Tommaso Campanella, è «chi nelle piazze attirava con le chiacchiere la gente, spacciando rimedi vantati come miracolosi e universali». E' voce che deriva da «cerretano», per sovrapposizione con «ciarla»: Cerreto era il borgo umbro da cui si diceva fosse partita la ribalda genìa degli accattoni professionali, truffatori e imbroglioni, che vantavano oltre quaranta specializzazioni, come ha documentato Piero Camporesi nel suo Libro dei vagabondi (Einaudi, 1973). Campanella ne parla al passato, ma il ciarlatano è figura immortale, che ci accompagnerà anche nel prossimo millennio, se stime recenti davano nel nostro Paese circa 40.000 guaritori e mediconi. Nell'evoluzione della medicina ha recitato una sua parte non necessariamente spregevole, e resta un ottimo reagente per capire la mentalità collettiva. Occuparsene non è affatto uno sfizio di curiosità erudita e un po' marginale. Lo dimostra il libro, di scrittura accurata e gradevole gLa maschera del dolettura, firmato da Giorgio Cosmacini, che insegna Storia della Sanità all'Università di Milano, ed ha al suo attivo una cospicua serie di ricerche sulla storia della medicina, e in particolare di quella italiana, principalmente edite da Laterza e da Einaudi. Partiamo dalla maschera cinquecentesca di Graziano, medicastro e astrologo, da cui è nato il Dottor Balanzone, maestro di esternazioni, e arriviamo alle 43 cure (inefficaci) contro il cancro registrate tra il 1945 e il 1982, alla «santa di Volvera» e ai riti esoreistici di monsignor Milingo. Il ciarlatano nasce da una congiuntura precisa: i limiti di una medicina ufficiale che ?• annaspava nel buio, e non era certo più efficace di quella «alternativa» dei cerretani; la sofferenza e l'angoscia del paziente di fronte al mistero della malattia; l'umana inclinazione al fantastico. Ancora nel 1906 scriveva un illustre clinico, Augusto Murri: «Il guaio serio è nella natura dell'uomo: la moltitudine crede all'ignoto, al misterioso, e non c'è legge che possa trasformare un branco di credenti in un'associazione di pensanti». Per secoli, sono gli «empirici espertissimi» a dominare il campo della pratica quotidiana, a cominciare dai norcini, che per le loro conoscenze anatomiche rivaleggiavano con chirurghi e flebotomi, curavano la calcolosi vescicale e la cataratta, spacciavano unguenti, «polveri contra mille mali» e la portentosa triaca, o orvietano, potente antivelenifero a base di vipera, che si scioglieva in bocca come una caramella, e conquistò anche i parigini. Affiorano nel libro di Cosmacini storie avventurose di vite allo sbaraglio per mezza Europa, alla Casanova, in cui l'azzardo delle terapie si coniuga a quegli spettacoli sulle pubbliche piazze che cercavano di incantare un pubblico ingenuo e distratto. Il ciarlatano vagabondo può essere al tempo stesso un medicastro, un cavadenti, un oculista, un mercante, un teatrante, un comico, ùn organizzatore di happenings con attori, musici, funamboli e mangiatori di fuoco. Perché l'arte del guarire non può essere gioconda e affabile? Nel 1718 Bonafede Vitali di Busseto si spinge a difendere la sua corporazione con un acce rato pamphlet: gli impostori ci sono dappertutto, i prodotti in vendita sono testati - si direbbe oggi - e costano poco, i cerretani parlano e strepitano ma non obbligano nessuno, mentre la medicina ufficiale costringe il malato a rimedi tutt'altro che sicuri. Difatti all'epoca la farmacopea rtsnrb ottor Balanzone restava fantasiosa e orripilante. A Padova, il Vallisnieri prescriveva per i calcoli renali «polvere di millepiedi, emulsioni di seme di mellone, di viole rosse, di alchechengi, e per cibo brodi di gamberi bolliti e spremuti nel brodo di pollo, una gelatina formata con raspatura di corno di cervo e infuso di vipere». Ma intanto il medico del Settecento vuol diventare un curante-scienziato, non più un curante-guaritore. Si comincia a parlare del magnetismo animale di Mesmer, che si carica anche di valenze psicologiche e ideologiche. Le scoperte di Galvani fanno nascere la speranza di poter curare le malattie nervose con l'elettricità. Il medico sassone Christian Friedrich Hahnemann teorizza i principi dell'omeopatia e ottiene grande successo anche in Italia: contro il «dottor todesch» leva un'acre requisitoria il medico-poeta Giovanni Rajberti. La frenologia di Gali, precursore di Lombroso, diventa moda, e le dame corrono a farsi palpare i bozzi del cranio. A Torino furoreggia la medicina sonnambolica. Il positivismo deve rassegnarsi a convivere con le tendenze animistiche e spiritistiche. A Parigi, dove sta per arrivare il giovane Freud, Charcot cura le neuropatie isteriche con l'ipnosi. Ma le scoperte scientifiche, via via più solide, non riescono a vincere fino in fondo la battaglia delia razionalità. Alla fine della sua carrellata (in un divertito «siparietto» compare anche Balzac, che a Milano cerca invano di ipnotizzare un ragazzino troppo sveglio), Cosmacini ci ricorda che il ciarlatano sembra ubbidire a una tipologia precisa: la stravaganza esibizionista e spettacolare, l'alone di mistero, il vittimismo del genio incompreso, la vanteria di risultati straordinari, la divulgazione di una quantità di aneddoti portentosi, la sete di guadagni, la litigiosità che alimenta il vittimismo, l'ingenuità di fondo, l'ambiguità, l'opportunismo. Quest'ultimo tratto ci rimanda al problema centrale: il ciarlatano è abile nel percepire e colmare le lacune di una medicina impersonale, lontana quando non scostante. Oggi c'è una notevole conoscenza specialistica della malattia, ma poca comprensione del malato, delle sue angosce e delle sue attese, in una parola della sua umanità. Fin che questo accadrà, conclude giustamente Cosmacini, la ciarlataneria continuerà a vivere. Emesto Ferrerò CIARLATANERIA E MEDICINA Giorgio Cosmacini Raffaello Cortina editore pp. 252 L 35.000 ?• La maschera del dottor Balanzone

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