Vallinotto, in un solo scatto tutta la verità di una cronaca

Vallinotto, in un solo scatto tutta la verità di una cronaca Dal giornalismo all'arte, dal cinema all'architettura: la vitalità dell'immagine fotografica in un poker di mostre Vallinotto, in un solo scatto tutta la verità di una cronaca T^lECONDO un felice luogo L' comune ci sono fotografie % che ((parlano da sole» («Tu il riesci a dare un'idea anche b*. I del suono delle voci» scriveva Renoir a Cartier-Bresson), sono quelle fotografie che di un evento, di una situazione o di un periodo riescono a darci immediatamente il «senso» più di mille parole. E basta guardare le immagini della mostra Un certo sguardo che si apre domani al Palazzo dei Sette di Orvieto (rimarrà aperta fino all'8 novembre), per capire che in questo genere di immagini Mauro Vallinotto è un maestro. Lo è stato fin dagli inizi della sua carriera professionale nella Torino degli Anni 60, dove Vallinotto, ingegnere mancato con la passione per le foto, «curiosava» tra la grande immigrazione e le proteste operaie dell'autunno caldo: fecero scalpore allora sia la bambina in un letto di contenzione a Villa Azzurra, sia il sorvegliante in mantella davanti ai cancelli di Mirafiori. Poi da Torino il salto a Milano per un lavoro che l'ha visto girare il mondo e ((fabbricare» servizi e copertine per testate come l'Espresso, Panorama, Famiglia Cristiana e il Venerdì. «Nei settimanali tabloid spiega - le foto più "belle" sono senza dubbio quelle della pubblicità, per cui nelle altre pagine devi cercare di catturare l'attenzione, senza forzature ma interpretando in qualche modo quello che vedi». E quel che vedi possono essere tanto i ministri Gava e Gaspari che mangiano, nel '76, ad una festa dell'Amicizia (e diresti che lì c'è tutta la prima Repubblica) quanto il segretario della sezione di Rifondazione Comunista a Massa Fiscaglia, il paesino vicino a Ferrara dove la sinistra ha sempre avuto percentuali bulgare, che il primo maggio del '94 legge II Sole-24 ore e brinda a champagne, in una piazza deserta (e qui ci sono molte contraddizioni della Seconda Repubblica). Forse più che nei ritratti di per sonaggi famosi (indimenticabile i lo stilista Valentino su una poltro na iperkitsch costellata di corna di bue), l'interesse di questa mostra sta nell'attenzione verso volti e situazioni di gente comune, una sorta di grande affresco del nostro vi- vere contemporaneo con un tocco qua e là ironico. Ma di quell'ironia sorniona dei piemontesi che si svela soprattutto negli accostamenti di immagini scattate in momenti e luoghi diversi: così ad esempio ti trovi i fedeli della Madonna di Fatima in Portogallo accanto ai fan d'un concerto di Marco Masini, la convention democratica di Atlanta accanto a un allevamento di galline ovaiole a Verona. Sono nove le sezioni in cui si snocciolano sia la mostra di Orvieto (curata da Roberto Mutti) sia il libro che l'accompagna, introdotte da brevi scritti di persone che hanno conosciuto e apprezzato il lavoro di Vallinotto: da Diego Novelli a Curzio Maltese, da Moni Ovadia a don Zega. «Vallinotto - scrive Novelli - ci offre spicchi di realtà per quella che è, fredda direi gelida, umana e disumana nello stesso tempo, carica però di una grande tensione di verità». Una verità che non finisce di sorprenderti tanto si celi dietro la famigliola che fa tranquilla il pic-nic in una discarica di amianto quanto dietro il chador e la tunica nera d'una donna musulmana su una tavola da wind-surf a Sharjia, negli Emirati Arabi. Il foto-giornalismo di Vallinotto è quello di chi lavora in un mondo in cui le immagini piovono un po' da tutte le parti ed è la televisione a fare la parte del leone, creando mode e miti. C'è stato però un tempo in cui era soprattutto il cinema la fabbrica dei sogni e inseguire divi e stelline di celluloide poteva per- mettere a un fotografo di diventare se non ricco, almeno famoso. E' il caso di Tazio Secchiaroli, simbolo di quella generazione di fotoreporter, immortalata da Fellini nella Dolce vita. E al Paparazzo di Fellini è dedicata la mostra Tazio Secchiaroli, dalla "Dolce vita" ai miti del set che si è aperta il 3 ottobre agli Scavi Scaligeri di Verona e rimarrà aperta fino al 10 gennaio (è accompagnata da un catalogo Motta a cura di Diego Mormorio). La mostra è un omaggio al fotografo da poco scomparso, che da tempo viveva appartato. Ci sono le immagini che l'hanno fatto conoscere in tutto il mondo: Walter Chiari che tira cazzotti, lo spogliarello al Rugantino, Fellini con la frusta sul set di 8 e 1/2. Proprio le foto di set dimostrano quanta fosse la professionalità di Secchiaroli, bravo non solo a «rubare» istantanee nei night di via Veneto ma anche a documentare bizzarrie, segreti e metodi di lavoro di quel genio chiamato Fellini. Rocco Moliterni Da domani a Orvieto «Un certo sguardo» del reporter torinese mentre Verona celebra il Paparazzo Secchiaroli A sinistra «Windsurf davanti all'Hotel Meridien» di Mauro Vallinotto, scattata nel 1982 a Sharjia, negli Emirati Arabi. Sopra «Bambini alle ex casermette di Altessano», del 1969, e «Ragazzi di un quartiere protestante» a Belfast, del 1975. A destra un'immagine di Tazio Secchiaroli: Brigitte Bardot sul set del film «Il disprezzo».