«Giudicheremo Sofri con serenità» di Adriano Sofri

«Giudicheremo Sofri con serenità» Il presidente della Corte d'appello: chiunque può fidarsi. Il pg Loi: rasserenare gli animi «Giudicheremo Sofri con serenità» Pisa, silenzio dal carcere: troppe docce fredde MILANO. «Sono sempre stato zitto e continuerò a farlo. Ma questo non autorizza nessuno ad attribuirmi scorrettezze o falsità inesistenti». E' furioso il procuratore aggiunto Ferdinando Pomarici, l'uomo che otto anni fa, vestendo i panni della pubblica accusa, condusse l'inchiesta sull'omicidio del commissario Luigi Calabresi e determinò la prima condanna a 22 anni di reclusione per Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. «No, non sono furioso: la parola giusta è amareggiato». Ma non per la decisione della Corte di Cassazione di ordinare la revisione del processo Calabresi: «La giustizia segue il suo corso, non spetta a me dire qualcosa. Il mio lavoro si è concluso nel 1990, con il primo processo». A colpire il magistrato, oggi responsabile del pool antiterrorismo, è il riemergere di vecchie polemiche sulla ricostruzione dei mesi d'inchiesta. In particolare sui primi giorni delle indagini, partite dalla confessione di Leonardo Marino che secondo l'ala innocentista del processo venne «istruito» a lungo dai carabinieri prima di comparire davanti al pm Pomarici e riempire pagine di verbale. «Non ho mai voluto parlare dell'inchiesta e non lo farò certo adesso. Per me parlano gli atti, tutti regolarmente depositati. Ho voluto sempre mantenere il silenzio e il riserbo per non interferire sulle decisioni dei tribunali e dei diversi gradi di giudizio. Ma questo non deve autorizzare nessuno ad attribuirmi condotte scor- rette o falsità di sorta. Ed è l'ultima volta che faccio una replica». Ma se in procura il clima è teso, non c'è da stare allegri nemmeno nel carcere di Pisa dove Sofri e Pietrostefani sono detenuti. La decisione della Cassazione è stata accolta in realtà con molta prudenza. «Ci aspettavamo che la Cassazione decidesse di rifare il processo e non una via di mezzo come questa che impedisce la nostra scarcerazione», ha fatto sapere Bompressi che da tempo è fuori dal carcere per motivi di salute. Bompressi, indicato come il killer materiale di Calabresi, ieri ha fatto perdere le sue tracce ai giornalisti. «La nostra linea, si è limitato a dire, è quella di non fare dichiarazioni in attesa che le cose evolvano». E anche Sofri dal carcere ha invitato alla prudenza: «Sono state tante le delusioni e le docce fredde in questi anni che è difficile sentirsi entusiasti e ottimisti». D'altro canto la situazione è come al solito paradossale: ufficialmente alla Corte d'appello ancora nessuno ha comunicato la decisione della Cassazione di una revisione del processo Calabresi. E nessuno conosce le esatte motivazioni della sentenza che rimette in gioco i destini giudiziari di Sofri, PietroStefani e Bompressi. Ma già infuriano le polemiche e ieri molti commentatori e politici hanno iniziato a mettere in dubbio la serenità di giudizio delle toghe milanesi. Un invito a rasserenare il clima intorno alla vicenda di Sofri e compagni arriva anche dal procuratore generale Umberto Loi: «Non carichiamo tutto quanto di eccessivi significati, cerchiamo di rasserenare gli animi e di aiutare così i giudici a pronunciarsi con serenità». Per Loi «il caso Sofri è un'anomalia che dimostra che in Italia esiste un "mito" del giudicato; vicende come questa mostrano come il vero problema della nostra giustizia siano i tempi: non c'è certezza neppure quando un caso, teoricamente, dovrebbe già essere considerato giudicato». Mentre Borrelli preferisce non commentare: «La faccenda non è di mia competenza». A palazzo di giustizia c'è soprattutto attesa per capire se entrerà in vigore la normativa sulle revisioni, il cosiddetto «decreto Sofri», all'esame della Camera, che sposterebbe la competenza a Brescia, [p. ci Adriano Sofri

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