«Ora serve un governo compatto»

«Ora serve un governo compatto» INTERVISTA VIVERE «SENZA» BERTINOTTI Lo «strappo» di Mondazione e le aspettative del numero uno del sindacato «Ora serve un governo compatto» Cofferati: no, la mia Cgil non si spaccherà IROMA N maniche di camicia, le bretelle verdi e la cravatta verde, un Sergio Cofferati rilassato sta sorseggiando il caffè nel suo ufficio «con vista» su Villa Borghese, ma diventa improvvisamente serioso non appena parla dello sciopero dei calciatori: «Ma scherziamo? C'è un uso disinvolto di questa parola: lo sciopero è un'astensione dal lavoro cui corrisponde una trattenuta equivalente della retribuzione. Qui non c'è nulla che possa vagamente somigliare ad uno sciopero: i calciatori minacciano di sospendere l'attività, ma non mi risulta che nessuno dei presidenti abbia ipotizzato di trattenere una parte degli ingaggi. Vorrei vedere quanti calciatori sarebbero disponibili a mettere sul tavolo 6 mesi dei loro ingaggi! E poi questa iniziativa contro chi è rivolta? Contro la magistratura. Non ci siamo». Sono le tre del pomeriggio, la crisi di governo è ormai tamponata e anche se Sergio Cofferati non lo dirà mai 1 uscita di scena di Rifondazione non sembra averlo messo di cattivo umore. Si può vivere anche senza Fausto Bertinotti, anche perché l'efficacia dei governi - come spiega Sergio Cofferati - è legata anche alla sua «coesione programmatica». Segretario, per due anni e mezzo Bertinotti vi ha fatto una concorrenza spietata: ora che è uscito, il sindacato tira un sosiro di sollievo? «Ma no. Il sindacato non deve temere alcuna forma di presunta concorrenza esterna. Conta la distinzione dei ruoli». Ma Rifondazione vi scavalcava spessissimo, vi rubava la scena... «Sa cosa è accaduto in questi anni? Il governo si è trovato spesso a ridiscutere con la sua maggioranza questioni che aveva già convenuto con le parti sociali. Il caso più clamoroso? Nel settembre 1996, noi e le associazioni imprenditoriali abbiamo firmato con il governo un accordo sull'occupazione. Ma il mancato orientamento preventivo con la maggioranza su quelle soluzioni, ha portato il governo a ridiscutere in Parlamento alcuni punti concordati». Vuol dire che molti intoppi sono nati anche per colpa di Prodi e del governo? «All'inizio proposi al governo di presentarci le sue proposte dopo averle concordate con la sua maggioranza. La mia venne scambiata come una fissazione, fu accolta con qualche risolino. Non sarò io a dire che avevo ragione». Un governo che si reggesse su una maggioranza risicata è sicuramente debole o potrebbe rivelarsi più compatto e paradossalmente più efficace? «Questo è presto per dirlo. Certo, in un governo e nella sua maggioranza conta molto la coesione programmatica, un progetto uniforme l'identità di orientamenti anche quando questi vengono mediati tra sensibilità diverse. Per noi è importante avere un interlocutore solido e avere la certezza delle sue intenzioni». E la stabilità? In questo f;overno c'è qualcuno che a definisce «un valore». «Io ho un'altra idea dei valori. Diciamo che la stabilità è un vantaggio forte per il Paese: la stabilità consente di programmare risposte positive. Ma attenzione non c'è soltanto una stabilità politica: c'è anche una stabilità nei rapporti tra le parti sociali con la concertazione e il patto sociale per lo sviluppo. La somma di tanti elementi di stabilità fa quadro». Lei Bertinotti lo conosce da anni: da quando fa politica è cambiato molto? Ed è vera quella diceria I secondo la quale, da sin- dacalista, Bertinotti non avrebbe mai firmato un contratto? «Quando Fausto faceva il sindacalista ha sempre avuto una passione molto forte per la politica. E tra i sindacalisti non è un caso raro. Anche se, per fare un esempio, Franco Marini aveva una passione politica meno evidente. Quanto alle firme dei contratti, non è vero che Bertinotti non ne abbia firmati». Lei crede all'ipotesi che D'Alema possa diventare presidente del Consiglio prima della fine della legislatura? «Una robetta da sfera di cristallo! Teoricamente non è impossibile, realisticamente mi sembra molto difficile». Per la Cgil sarebbe com- plicato passare da un governo «amico» ad un governo «compagno»? «Ho sempre rifiutato questa etichetta del governo "amico". Per il sindacato la sostanza non cambia: noi ci sforziamo di giudicare il programma non gli schieramenti». Ma in questi due anni e mezzo sono fioccate le critiche alla Cgil... «Critiche legittime. Ma in questi anni l'autonomia della Cgil non è mai venuta meno. E l'autonomia è fatta da due cose: affermare "non sono d'accordo", ma anche avere il coraggio di dire: "sono d'accordo"». Lei crede che ora Bertinotti potrebbe aver bisogno di un «suo» sindacato, spaccando la Cgil? «Posso assicurare che in Cgil, con le tante diversità, non esiste il minimo problema». Per anni Bertinotti ha predicato un robusto intervento pubblico e proprio ora che in Europa si torna a parlare di investimenti. Aveva ragione lui o ha torto a gettare la spugna proprio ora? «C'è un tratto paradossale nella vicenda italiana. Nel vertice di Firenze del 1996 l'Italia propose politiche comuni per lo sviluppo e l'occupazione che furono bloccate da inglesi e tedechi. Ora quei governi sono cambiati e si può riparlare dello schema Delors. In quello schema lo Stato crea l'ambiente economico per attirare gli investimenti. Altra cosa è sostenere - come ha fatto Rifondazione - che lo Stalo debba gestire attività produttive che abbiano come obiettivo l'occupazione». Senza Rifondazione che fine fa la legge sulle 35 ore? Si impantanerà? «La riduzione del tempo di lavoro è una politica necessaria e fisiològica che però deve essere contrattata tra le parti sociali. Una legge può rappresentare un utile supporto alla contrattazione collettiva. Quale legge fare lo dira il Pailamento. La riduzione non può essere astratta dai modelli organizzativi e dalle reali condizioni. Di volta in volta bisogna trovare le l'orme utili sia alle imprese che ai lavoratori». E lei Cofferati, farà il sindacalista a vita? Nel futuro farà anche lei politica come Bertinotti, magari alla guida dei Democratici di sinistra? «Nella Cgil ci sono delle regole che è utile per tutti rispettare. Stare in questo ufficio ha una scadenza statutaria - due mandati, otto anni - che non intendo mettere in discussione. Sinceramente credo che sia possibile continuare a fare il sindacalista anche dopo aver smesso un ruolo di direzione». Fabio Martini fi fi D'Alema dopo Prodi? Teoricamente non è impossibile ma realisticamente mi sembra difficile p p fi fi La legge sulle 35 ore è un utile supporto Ma devono trattare le parti sociali e la riduzione non può essere astratta p ij I calciatori minacciano di scioperare Ma contro chi? Senei mirino c'è la magistratura proprio non ci siamo i| p ondazione Franco Marini leader Ppi durante il suo intervento a Montecitorio e le aspettSergio Cofferati segretario generale Cgil a: Jacques Delors dente della sione europea to piccola, a destra: Campana, presidente ociazione calciatori ll h l S A sinistra: Jacques Delors già presidente della Commissione europea Nella foto piccola, a destra: Sergio Campana, presidente dell'Associazione calciatori Sergio Cofferati segretario generale Cgil Franco Marini leader Ppi durante il suo intervento a Montecitorio

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