Un «Alfabeto italiano» nasconde la malinconia dei poveri ma belli di Alessandra Comazzi
Un «Alfabeto italiano» nasconde la malinconia dei poveri ma belli TBVU'&TIVU1 Un «Alfabeto italiano» nasconde la malinconia dei poveri ma belli MENTRE sabato e domenica si consumavano le sfide incrociate tra varietà e contenitori miliardari, in televisione succedeva anche altro. Su Tmc, a esempio, si svolgeva il coraggioso «Campionato nazionale di Lingua Italiana», con Rispoli, il professor Beccaria e l'altra sorella Carnicci, Anna, ne parleremo. Su Raitre cominciava invece «Alfabeto italiano», una serie di film (esattamente 21, come le lettere del nostro alfabeto) che raccontano la storia d'Italia nei suoi ultimi cinquantanni in base all'enorme materiale contenuto nella cineteca Rai. L'idea arrivava da Giovanni Minoli, ex direttore di Raitre, ed erano state poste alcune condizioni: che i registi avessero tutti tra i 40 e i 50 anni, appartenessero cioè alla generazione cresciuta con la tv; che lavorassero soltanto su materiale Rai; che non si realizzassero filmati compilativi, ma veri, piccoli film. Erano stati coinvolti Silvano Agosti, Gianni Amelio, Marco Bellocchio, Alessandro Benvenuti, Giusepì Bertolucci, Cristina ed EleoComencini, Alessandro Alessi I peBe: I nora D'Alatri, Alessandro di Robilant, Davide Ferrario, Marco Tullio Giordana, Fiorella Infascelli, Simona Izzo, Wilma Labate, Francesco Laudadio, Mario Martone, Maurizio Nichetti, Giuseppe Piccioni, Salvatore Piscicelli, Daniele Segre, Silvio Soldini e Giorgio Garini, Carlo e Luca Verdone, Paolo Virzì. Qualcosa è fatto, qualcosa si sta facendo. Lietta Tornabuoni ci ha raccontato qualche giorno fa sulla «Stampa» che il Leone di Venezia Amelio sta lavorando a «Poveri noi» sulla grande emigrazione interna degli anni 1956-1964. L'esordio in tv è toccato a «Un popolo di sportivi» di Alessandro di RobÙant. Domenica prossima, se non cambieranno idea, sarà la volta di «Fortune e sfortune degli italiani dal bianco e nero ad oggi», di Alessandro Benvenuti. Il materiale d'archivio Rai è veramente una miniera dentro la quale deve essere un piacere, per un regista, scavare, mettere le mani, estrarre. E di Robilant ha estratto perle sportive, interviste a campioni e a «mezze cartucce» (memorabile quella di Sergio Zavoli al ciclista in fuga che non vince va mai), a pugni ed allenatori. Accanto alle interviste, accanto all'attualità di allora, a quelle facce di persone scomparse, accanto a Zavattini o a Soldati, c'erano i varietà, le parodie di Walter Chiari, Raimondo Vianello, Carlo Campanini, Ugo Tognazzi. Impietosi accostamenti tra il gregario in bicicletta e l'attore, che lo imitava perfettamente, con cattiveria, e faceva ridere, ma lui non andava su e giù per le montagne. I nasi tristi come una salita dei ciclisti, i nasi schiacciati da anni di botte dei pugni, ma anche il presidente Pertini che si esalta dopo la vittoria ai campionati del mondo dell'82. Doppia malinconia: una suscitata dalla cifra del film; l'altra suscitata dalla Rai. Che come sempre nasconde i suoi programmi, quando sono poveri ma belli. Ed è anche finalmente andato in onda, sempre su Raitre, quel «Tour» con Elio e le Storie Tese che veniva promesso ai fans da soli due o tre mesi. Come diceva Moretti? «Facciamoci del male». Alessandra Comazzi
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