Dall'alba a notte fonda ostaggi di feste e sfilate

Dall'alba a notte fonda ostaggi di feste e sfilate DCDADTAftB KcPOkiAw e DIETRO LE OUINTE Dall'alba a notte fonda ostaggi di feste e sfilate SMILANO E capitate in un qualunque punto della città - salvandovi la pelle da automobilisti imbufaliti, motoristi fradici di pioggia, taxisti furenti - e intercettate almeno tre giovani pipistrelle con scarpe nere, gonna o pantaloni neri, maglietta nera, giacchietta nera, telefonino appeso alla guancia anemica, seguitele. Non stanno affatto andando a un funerale. Vanno alla sfilata. La moda - sebbene potentemente votata alla propria soppressione per successivi svestimenti - è ancora aggrappata alla vita, alla luce dei riflettori, al multiplo specchio dei fotografi. E naturalmente (è aggrappata) agli 8-10 mila miliardi di fatturato annuo che fa marciare le tre pipistrelle, come le centinaia d'altre arrancanti sull'asfalto, verso punti precisi di ressa, sudore, estasi. «Andiamo, è tardi!», si dicono, soffiando. Oppure via telefono: «Io sono qui. Tu sei lì? Ah, sei ancora là? Ma resti su o vieni giù?». La settimana modosa di Milano è un labirinto. Una performance perpetua che per puro sadismo si spegne e si accende da un quartiere all'altro (quest'anno vanno parecchio le periferie) trasformando il suo popolo di addetti - compratori, pr, agenti, giornalisti, faccendieri - in una truppa di profughi libanizzati. Venti appuntamenti al giorno, per sette giorni, uno-di-seguito-all'altro. Dall'alba: quattro sfilate nell'acquario bollente della Fiera. Una festicciola a metà mattina. Due cocktail alle 12. Tre colazioni in piedi. Un ammazzacaffè di beneficenza, sei-sette passerelle nel pomeriggio, altri quattro cocktail al tramonto con conferenza stampa, tre cene in piedi, due cene sedute, un concerto (alla Scala o in un simil leonkavallo: è uguale), due feste dopocena, la discoteca quando è notte. Eccoci per esempio davanti a una fabbrica dismessa. E' brutta e triste e mortuaria trattandosi di un luogo sopravvissuto a molta sofferenza e persino a un decesso epocale. Ma qualunque pipistrella ti dice: «Cari na, noooh?». L'hanno ridipinta tut ta di bianco, «lavorando di giorno e di notte per una settimana...». Chi, voi? «Ma no, gli imbianchini». Il colpo d'occhio è: sanatorio. Sulla strada c'è eccitazione ere scente. Dal traffico sbucano transatlantici Mercedes che attraccano giusto il tempo per scaricare grappoli di giapponesi, o attempati tedeschi, o sibilanti americani tutti con staff al seguito e valigioni di valuta. L'entrata della fabbrica dismessa è ampia, ma a renderla un pertugio invalicabile ci pensano quattro ragazzoni con sguardo erbivoro e la maglietta sbracciata da commando. Pensi siano lì a sbrigare il flusso. Invece lo incasinano, lo arginano, lo bloccano, di modo che, passati 20 minuti sotto la pioggia, gli affluenti sono diventati folla, l'eccitazione panico bagnato. Dall'altra parte del marciapiede ci sono mamme in transito, impiegati, ragazzini, fruttivendoli, tutti a guardare questo grottesco assembramento di pipistrelle e pipistrelli. «Succede qualcosa?», chiedono al giovane vigile stressato. «E' la moda», fa lui. «In che senso?». Da questa parte del marciapiede si spinge fino alle mascelle del commando ruminante: «Tra un minuto entrate», ti dice. E il più colto dei quattro: «Don't push!», non spingere, infischiandosene che tutti vedano, alle sue spalle, il cortile vasto e specialmente vuoto. Ma sono scemi o cosa, ti chiedi. «Ingenuo - ti spiega la decana amica -. Sono lì apposta a tappare l'en¬ trata, così si crea il casino, i fotografi si eccitano, la gente si fenna a guardare, e i 300 mvitati sembrano mille. Anziché fare portineria, fanno evento, è più chic. Capito?». Si entra. Dello stilista - le pipistrelle - sanno morte, miracoli e peccati. Questo della moda ó un sottomondo pettegolissimo, amicale, efferato. Nulla di ciò che ascolti, trapelerà oltre i confini, meno che mai i giudizi sulla nuova collezione di questo o di quello, tipo «mamma mia che schifo». Oppure: «Ha copiato tutto». Oppure: «Poverino non ha più un'idea». Tutte obbligate alla sottrazione, le cronache si riempiranno di panna e quest'anno addirittura di latte. Per la povera Alessia Merz immersa nella vasca si sono scomodati pure i semiologi a hidagarne il senso e subito dopo gli avvocati, nella consueta guerra di querele tra saiti, essendo stata, la l'accenda lattea, colpevolmente definita «ima pagliacciata». Si affollano, nella chiacchiera confusa del pre-sfilata, le mutevoli parole d'ordine propagate dagli uffici stampa. Perciò vedremo: la neohippy, la donna orientale, l'aristocratica di campagna, la cittadina del mondo. Il seno nudo. La mutanda di metallo e quella micropubica. La gonna palloncino. La gonna filiforme. Il tacco. La ciabatta. Tutto significando qualcosa, un sedimento, ima personalità non transitoria, il segno distintivo non dell'istante, ma del Tempo. Siete pronti? Riflettori. Musica. Ai bordi della passerella parte il sospiro delle pipistrelle in prima fila, le pipistrelle vip. Senza pietà la luce svela l'imperfezione dei loro visi, le rughe, lo sguardo acquoso, la guancia sgonfia, il capello increspato, mentre comincia la passeggiata delle perfette e bellissime e giovanissime. Sfilano da Est, scompaiono, riappaiono, incalzate dalla propria elasticità. Hanno facce austere, nessun sorriso, ma una violentissima consapevolezza della propria giovinezza. Loro sì, nei corpi e non nei vestiti, ancora padrone del Tempo. La sfilata dura una dozzma di minuti, tutto sbrigato come un soprassalto di desiderio, mimesi di un sesso veloce, ma sfiancato dalle buone maniere collettive. Applausi. Tutti in piedi. Tutti a dirsi ciao cara, ciao caro, col bacetto e l'appuntamento alla prossima fermata di questo treno nel labirinto. Spariti i ruminanti dall'entrata, si va via veloci. E un po' più vecchi. Pino Corrias A ogni ingresso ragazzi muscolosi bloccano gli invitati per creare una piccola folla, incuriosire i passanti ed eccitare i fotografi E" dietrofront sul bacio saffico Secondo Antonio Marras, stilista di «Piano Piano Dolce Carlotta», non era previsto così «bollente» A destra, i jeans di Gucci

Persone citate: Alessia Merz, Antonio Marras, Gucci, Pino Corrias

Luoghi citati: Milano