Bossi: non saremo noi a salvare Palazzo Chigi

Bossi: non saremo noi a salvare Palazzo Chigi LA STRATEGIA DELLA LEGA Bossi: non saremo noi a salvare Palazzo Chigi MILANO A che non dica stupidate!». Quella frase di Cossiga, il sospetto che i leghisti possano aiutare il governo di Romano Prodi, rovina la giornata di Umberto Bossi più dell'influenza che si porta addosso. «La Lega farà pesare i suoi voti, altro che storie!». Voti che non andranno in soccorso di Prodi. Nel pomeriggio Bossi si mette in macchina, direzione Treviso. Prima di partire decide di tenere il telefonino staccato fino a notte. Ha messo in conto che qualche chiamata da Roma possa davvero arrivare. Ma Bossi, che si prepara a volare dal Veneto a Roma, vuole giocare la parte del misterioso. E' da mesi che manca da Roma, e quest'aria di crisi gli potrebbe aprire qualche varco nella politica, o almeno così spera e così diceva venerdì notte in un ristorante del Padovano. «La Lega è da sempre determinante, soprattutto in questo momento. Possiamo impedire i giochini tra Polo e Ulivo». L'unico timore di Bossi è che la crisi possa scivolare verso elezioni anticipate. «Non ci credo tanto, ma il pericolo c'è e Berlusconi lavora per questo. E' lui l'unico ad avere interesse. Tanto per cominciare, bloccherebbe le inchieste sul suo conto, a partire da quelle di Palermo sui rapporti tra la mafia, i capitali sporchi e le sue televisioni. Approfittando della spaccatura a sinistra avrebbe gioco facile nello scommettere su una vittoria. Ma lui è l'anomalia italiana, è l'anomalia europea, e non è possibile lasciargli la strada libera». No alle elezioni, ripete. E sì a cosa? «Possono sempre riuscire a tenere in piedi questa maggioranza. Mi pare che manchino tre o quattro voti, no? Magari possono contare sui due deputati veneti che se ne sono appena andati dalla Lega: loro sì che potrebbero accusare un mal di pancia e non farsi vedere in aula. Potrebbero contare su altre assenze, non mi stupirei. Ma poi Prodi quanto dura?». Dipendesse da Bossi un governo tecnico sarebbe il benvenuto. Da «Radio Padania» ha già fatto capire che sarebbe più che interessato, tanto da buttar giù le prime condizioni. Una è implicita, ma è quella che serve per non rimanere fuori dalla porta: di secessione non parla più da almeno quattro mesi. Le altre sono le rivendicazioni dei Cobas del latte o la cancellazione del decreto che annulla le licenze commerciali. «Sono le prime che mi sono venute in mente». Un governo tecnico, che impedisse lo spauracchio delle elezioni, Bossi potrebbe anche appoggiarlo. Pure se è sostenuto dall'odiato Berlusconi, detto «il mafioso» anche nel comizio di ieri sera a Treviso? «Vado a Roma anche per capire come si muovono i signori di Polo e Ulivo, per vedere se c'è qualche margine di manovra». E di manovrare nel Palazzo, Bossi che riprende a fare il misterioso, che non si fa trovare al telefonino, ne ha una gran voglia. «Queste voci di un nostro appoggio al governo Prodi le mette in giro Berlusconi», è sicuro Roberto Maroni, pronto a rimettersi i gradi da capogruppo leghista. «Figuriamoci se noi possiamo appoggiare un governo e una Finanziaria che si sono reinventati la Cassa del Mezzogior¬ no!». Per la Lega ogni sospetto di sostegno a Prodi, spiega Maroni, è un colpo grave. «Noi non abbiamo nessuna convenienza ad appoggiare questo governo dell'Ulivo. E' bastata quella battuta di Cossiga e si sono scatenate le telefonate. Ma quando mai? E' che Berlusconi, con le sue televisioni, non vede l'ora di massacrarci. E di dire ai leghisti veneti: "Vedete, quelli fanno accordi con l'Ulivo e vi buttano fuori perché volete farli col Polo!"». Anche per Maroni, come per tutta la Lega, Berlusconi è tornato il Nemico, il Berluskatz dei tempi del ribaltone '94. «Ma il nostro - ride Bossi - era ima roba seria, e qui mi pare che vadano a vista...». A Roma per vedere come se la cava Prodi, come si comporta Cossiga, soprattutto per evitare le elezioni anticipate. In pubblico Bossi dice di non temerle, in privato sì: «Vincerebbe Berlusconi». Con i suoi, però, ha già fatto i suoi conti. Con l'attuale legge elettorale avrebbe ancora buone possibilità di portare a Roma un di¬ screto gruppo di parlamentari. Tra un armo, magari con una legge elettorale che prevede il premio di maggioranza, sarebbe ben più difficile. E allora, a Roma, Bossi e Maroni dovranno anche capire cosa succede dopo, tra un anno, con la nuova legge elettorale. Su questo può esserci un'intesa («tattica, mi raccomando!») sia con Cossiga che con Massimo D'Alema. Ma questo è il dopo. Giovanni Cerniti «L'ex picconatore spara stupidate quando dice che non andremo a votare la Finanziaria» Il leader della Lega Nord Umberto Bossi