D'Alema: ma governare sarà difficile di Augusto Minzolini

D'Alema: ma governare sarà difficile D'Alema: ma governare sarà difficile // leader Ds rilancia l'allargamento della CROMA OSI', grazie ad una scissione e ad un'improvvisa epidemia. Prodi è riuscito a difendere il suo governo che d'ora in avanti potrà contare o su una minoranza, o su di una maggioranza sul filo: basteranno, comunque, entrambe a far passare la legge finanziaria. Nulla di «entusiasmante», per usare un'espressione di Massimo D'Alema, abbastanza però per vivere. Tutto fatto, allora? Tutto secondo le previsioni? Ora siamo ai brindisi con tre giorni di anticipo rispetto al voto di venerdì, ma anche se tutto andrà come previsto, il presidente del Consiglio è il primo a sapere che i suoi problemi cominceranno da quel momento in poi. La sua maggioranza - o, a seconda dei punti di vista, la sua minoranza - sarà sballottata nei prossimi mesi da una parte all'altra. In questi giorni, ad esempio, Armando Cossutta, oltre aver contrattato i seggi per le prossime elezioni, ha anche avvertito i suoi nuovi partner che se il governo seguirà Clinton nell'intervento nel Kosovo non potrà contare sui voti del nuovo Pei: «Questo non me lo potete chiedere». Un problema che il vice-presidente del Consiglio Walter Veltroni non ha mancato di riportare al comitato politico dei Ds, l'altro ieri. Ed ancora. Se si fanno i calcoli ci vuole poco a scoprire che la «maggioranza minoritaria» di Prodi non riuscirà a controllare molte commissioni parlamentari. In poche parole per il governo la Camera diventerà ingovernabile. Gli strateghi di Palazzo Chigi hanno già capito che, per potere andare avanti con un minimo di dignità, dovranno accaparrarsi almeno altri 7-8 deputati. Ma quali? Giocando duro il Professore si è isolato sia a destra che a sinistra. Mentre D'Alema ha mantenuto un canale di comunicazione sia con Bertinotti sia con Cossiga, lui no. Anzi, il segretario di Rifondazione accusa il capo del governo di aver mirato scientificamente alla scissione. Bertinotti lo ha detto anche al capo dello Stato facendogli nascere non poche perplessità sulla politica messa in campo dal governo in queste settimane: «Per evitare la scissione - ha spiegato Bertinotti su al Colle - bastavano interventi per meno di 5 mila miliardi. Invece, il capo del governo non mi ha lasciato nessun margine». Una pace con Bertinotti - improponibile per il momento - non può che passare per il siluramento dell'attuale premier. Non parliamo, poi, di Francesco Cossiga che da qualche giorno non può vedere il Professore neppure in foto. In queste condizioni è evidente che Bertinotti e Cossiga non sono più interlocutori per Prodi: i rap- porti con loro sono ormai improntati alla sfiducia reciproca. Ma non basta. Prodi non può instaurare nessuna trattativa con l'Udr perché altrimenti perderebbe Cossutta. Il veto ad un ingresso futuro dell'Udr nella maggioranza fa parte, infatti, delle condizioni poste al governo dall'anziano esponente comunista per promuovere la scissione di Rifondazione. «Al massimo ha confidato il presidente ai suoi consiglieri - possiamo accettare delle adesioni a livello personale, di singoli deputati». Insomma, per sopravvivere, gli strateghi di Palazzo Chigi puntano ad una nuova scissione, questa volta sul versante dell'Udr, premendo soprattutto sui deputati più vicini a Clemente Mastella. L'operazione - se riuscirà - dovrebbe maturare nei prossimi tre mesi e magari essere coronata con un «rimpasto» di governo all'inizio del prossimo anno che sancirebbe l'allargamento della nuova maggioranza. «In primavera - ridacchia spesso nei con¬ ciliaboli della Camera Massimo Ostillio, uno dei "parlamentari mastellati" - sarò al governo». Per andare avanti, per garantirsi quel «primum vivere», quindi, Romano Prodi si accontenta di sviluppare una strategia «minimale». Ripete i fasti delle mini-scissioni come quella dei demonazionali del Msi che garantirono uno dei tanti governi democristiani, o quella dei comunisti unitari che salvò la scorsa legislatura il governo Dini. Anzi, ne prova due in sei mesi. Una politica, questa, che non può soddisfare Franco Marini. Lui vuole un'alleanza con l'intera Udr per andare alle prossime elezioni europee in una condizione meno disperata. E in fondo in fondo non convince neppure D'Alema: il segretario diessino, infatti, è sicuro che governare con una maggioranza troppo esigua, con i conseguenti inconvenienti, alla fine logorerà non solo il governo ma la stessa formula dell'Ulivo. Ecco perché, chiuso il capitolo crisi, o pseudo-crisi, si apre quello del «dopo» che vede la maggioranza di centro-sinistra quantomai divisa. Ieri nell'incontro con D'/uema e Manconi il segretario dei popolari è stato alquanto deciso nel riproporre la questione dell'allargamento dell'Udr. «Senza i voti di Cossiga rischiamo di farci del male». Un discorso ripreso in serata anche da D'Alema nella riunione dei deputati diessini. «E' giusto - ha osservato - portare a casa la fiducia anche per un voto, ma ormai il pro¬ blema della tenuta del quadro politico è all'ordine del giorno. Non possiamo pensare di governare il resto della legislatura con un voto di scarto. Anche perché con questa opposizione non c'è nessun agreement. Ha ragione Marini a porre il tema non di una nuova forza di centro, ma dell'allargamento della maggioranza dell'Ulivo». E' scritto. Da venerdì nell'Ulivo si confronterà la politica «minimale» del presidente del Consiglio con quella dell'allargamento della maggioranza. E probabilmente lo scontro attraverserà l'intero schieramento ripercuotendosi dentro il Pds. D'Alema, infatti, non ha per nulla digerito quel niet di Veltroni all'ipotesi di un suo approdo a Palazzo Chigi. «Io - ha ripetuto ieri sera - avevo già smentito. Se ne doveva tener conto, invece di fare un'intervista contro». E il suo fedelissimo Pietro Folena è andato addirittura più avanti: «Veltroni parla di primarie per la scelta del prossimo candidato a Palazzo Chigi? Se non sbaglio per scegliere Prodi e lui non ci furono primarie». Al solito. Ancora non è finita una guerra e già ne comincia un'altra. Augusto Minzolini

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