ZERI l'angelo guastatore

ZERI l'angelo guastatore La scomparsa del grande storico dell'arte: le scoperte, le battaglie e le passioni di un protagonista della cultura ZERI l'angelo guastatore ROMA, Federico Zeri è morto ieri mattina nella sua casa-biblioteca di Mentana. Aveva 77 anni. Era nato a Roma il 12 agosto 1921. Una camera ardente sarà allestita oggi dalle 15 alle 21 a Roma nel complesso monumentale del San Michele (sala del Cortile degli aranci), sede del ministero per i Beni Culturali. Di qui partiranno domani i funerali, con rito laico, per arrivare alla tomba di famiglia nel Cimitero del Verano. Ieri il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha inviato un telegramma alla famiglia di Zeri, sottolineando come Zeri abbia «onorato il suo Paese in tutto il mondo con il prestigio della sua immensa dottrina e l'autorevolezza delle sue idee». Altri messaggi di cordoglio sono stati inviati dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, dai presidenti del Senato e della Camera e da un gran numero di esponenti politici. Da segnalare che questa sera Raitre trasmetterà alle 23 Non solo Assisi, un reportage curato dal grande critico dalle zone del terremoto. 7n] MENTANA (Roma) L'[TANGO: «Mi sento malis% simo. Ho davvero paura di il morire, adesso». Ironico e }Jj burlone: «Sono la rammendatrice di Cinecittà, si ricorda di me?» con una delle sue voci contraffatte, da popolana, in una delle sue infinite recitazioni tutte calibrate fra ribalda irrisione e giochi clowneschi. Vuole lanciare altre frecce contro il degrado dell'amministrazione pubblica e vuole farlo attraverso La Stampa: «E' il mio giornale. Non dò interviste» diceva ai giornalisti che lo inseguivano e riuscivano almeno a strappargli una frase, il commento a un fatto. E' indignato che si voglia intitolare a Lucio Battisti il nuovo Auditorium di Roma. Si cruccia che Rutelli si prepari a versare miliardi all'architetto Mayer per il ripristino di una piazza che «non ha nessun bisogno di essere ripristinata». E' in attesa che Veltroni risponda a una serie di sollecitazioni che gli ha rivolto: «No, non si è fatto vivo. Mi voglio dimettere dal Consiglio Nazionale dei Beni Culturali. Ma voglio farlo bene, annunciandolo con una conferenza stampa» dice. E' morto per un collasso cardiaco, intorno alle 8 del mattino. Si era svegliato alle 6 e mezza, come sempre. Aveva fatto colazione a letto. Era lucidissimo. Aveva fatto le solite telefonate agli amici e collaboratori più fedeli, come lui mattinieri. Parole scherzose, parole di lavoro. Ad Alessandra Mottola Molfino che aveva chiamato come collaboratrice per il riordino di Palazzo Reale e del Castello Sforzesco di Milano - le ultime appassionate sollecitazioni: «Mettiti a cercare tutti gli arredi spersi di Palazzo Reale! Recupera le antiche torciere!». La passione per le cose che amava aveva illuminato anche il pomeriggio di domenica. Con Nino Criscenti di Raitre, il suo medico e uh giovane storico dell'arte aveva passato ore a parlare della «Dama dell'ermellino» di Leonardo. Ne guardava con una lente i dettagli su una riproduzione, ne indicava i tasselli forse ridipinti, ne elogiava la fattura. «Bellissimo, il più bel quadro di Leonardo» non si stanca va di ripetere. Venerdì sarebbe andato con una troupe al Quirinale per «leggere» il dipinto e commen tarlo per i telespettatori: 10 minuti di tg in prima serata, domenica prossima. «Si stava rivestendo quando si è sentito mancare. "Avvisate il me dico" si è raccomandato. Io - racconta il dottor Vicario - lo curo da 33 anni. Ma sono anche un amico. Forse quello di più antica data, che ha resistito di più. Ne ho visti di "amici" messi alla porta! Come Vit torio Sgarbi, che al professore ave va procurato un vero dolore. Con me e mia moglie festeggiò i suoi 60 anni. No, la sua famiglia eravamo noi, i pochi amici. Con la sua famiglia non c'erano legami positivi» Non amava parlare della sorella Nunzia. Non si rassegnava al fatto che poteva vedere così raramente il nipotino, il figlio di Eugenio Malge ri. «Lo voleva adottare, perché i nome non si spegnesse» ricorda Eugenio. Pensava al futuro delle sue collezioni. «Lo Stato mi corteg già - mi raccontò nel nostro ultimo incontro. - Mi propone un vitalizio in cambio del materiale cartaceo, da mantenere magari qui per la consultazione. Ma io non ne sono convinto. Lo Stato italiano non sa avere cura di queste cose. Se li immagina gli studenti che studiano e non rubano le foto, non ritagliano le illustrazioni dai libri? Io preferirei lasciare tutto a una fondazione straniera, a una università». «Ho male al cuore, sto morendo» ha detto al suo medico, quando questi è arrivato. «E' morto quasi subito. Non c'era neanche da portarlo in ospedale» spiega Salvatore Vicario. Il corpo del Professore è composto nella sua stanza, al primo piano. Una volta lo intervistai che era in poltrona, in vestaglia, vicino al suo piccolo letto, un letto quasi da ragazzo. Le malattie, reali o inventate, erano un leit motiv dei suoi discorsi, prima di approdare alle geremiadi sui mali dell'Italia, sul futuro apocalittico che incombeva, nell'augurio di un prossimo crollo totale, unica premessa di rinascita. «Ci stiamo arrivando» si rallegrava, passando da una sorta di gioia maligna a un sulfureo piacere del disastro. Non gli piaceva niente del nostro tempo. A microfoni spenti elencava i corrotti, i puswanimi, i voltagabbana. Il ruolo del guastatore lo recitava con gusto. Si sorprendeva che lo considerassero uomo di cattivo carattere. Faceva il verso a Brandi o Argan. Chiedeva, con cortese naturalezza: «Saffo, secondo lei, come lo faceva?». Distribuiva atroci soprannomi. Odiava il telefono ma, curiosissimo, rispon¬ deva a tutti. Era un uomo profondamente solo. Aveva appena riordinato le foto sue e della sua famiglia: era stato un bell'uomo e gli piaceva sentirselo dire, era nipote di un audace romagnolo e gh piaceva che quella faccia un po' ribalda gli somigliasse. Amava mangiare e mangiare con lui era una festa, nella bella sala da pranzo. Eclettico, vanitoso, infantile, capace di ingenue umiltà, scrisse un libro con Roberto D'Agostino, Sbucciando piselli, e un giallo, Mai con i quadri, con Carmen Iarrera, con cui stava lavorando a un nuovo libro. Andò in televisione a fare il bebé capriccioso o a sputare sentenze vestito con palandrane esotiche. «Alle buffonate del mondo rispondo con altre buffonate» diceva. Importante per lui era non mitizzare niente, essere libero da congreghe e congiure. Stupiva gli ospiti per la memoria prodigiosa, la capacità di fare un'attribuzione di primo acchito. Anche la sua casa rispecchiava il gusto del «pastiche». Marmi romani, iscrizioni e frammenti antichi ornano i muri esterni dell'edificio. Dentro: busti, colonne, mostri di pietra, mosaici su un cartone di Pietro da Cortona, tappeti preziosi, quadri fiamminghi o manieristi, arazzi su cartoni di Francesco Salviati, uno Scarsellino, due Giovanni Martini. Una casa-museo. Dove cantava canzonacce da osteria, recitava strofe e barzellette dai doppissimi sensi. Liliana Madeo La fine improvvisa ieri mattina a Mentana, dopo aver parlato con i collaboratori NELLE PAGINE SEGUENTI • le polemiche e le «cattiverie» di C. Grande • Quel giorno a Parigi, tra gli immortali di E. Benedetto • / maestri e le intuizioni dello StudiOSO diM. RoscieM.Vallora • Le Streghe benefiche: una pagina inedita di f. zeri