«Moro ci accusava per salvare se stesso»

«Moro ci accusava per salvare se stesso» Delitto Pecorelli, primo interrogatorio del senatore: «Con i suoi memoriali voleva convincere le Br a non ucciderlo» «Moro ci accusava per salvare se stesso» Andreotti si difende in aula PERUGIA DAL NOSTRO INVIATO L'hanno voluto togliere di mezzo, dice. Perché? «Perché davo molto fastidio a chi voleva cambiare le cose in Italia. Fastidio politico». Chi? «Questo ancora non lo so, ma non mi acquieterò finché non l'avrò scoperto. Se lei mi aiuta, procuratore, le sarò gratissimo. Perché io non c'entro niente, né con Pecorelli né con la mafia». Chiede aiuto alla pubblica accusa, Giulio Andreotti, nel giorno del suo primo interrogatorio da imputato di omicidio davanti a una corte d'assise. A quasi ottant'anni, chiuso nel cardigan e nel doppiopetto blu, il sette volte presidente del Consiglio risponde per oltre 6 ore alle domande di chi l'ha portato alla sbarra come mandante dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli. E l'ironia della storia ha voluto che il faccia a faccia tra l'uomo simbolo del potere in Italia e i suoi accusatori, nell'aula-bunker di un carcere perso nella campagna umbra, cadesse mentre a Roma, nei palazzi della politica che Andreotti conosce meglio di chiunque altro, si consuma una crisi di governo. Lui, che di crisi ne ha vissute tante, nella pausa del pranzo commenta: «L'Italia c'è abituata, credo che sia una condizione irreparabile. In media ce n'è una all'anno, Prodi è durato di più. In ogni caso io sono sempre contrario ad elezioni anticipate, anche se ormai sono senatore a vita e quindi per me sarebbe indifferente. Però oggi mi devo occupare d'altro». Altro vuol dire l'omicidio di un giornalista che - secondo l'accusa - gli dava fastidio, ammazzato il 20 marzo 1979, giorno in cui Andreotti formava, tanto per cambiare, un nuovo governo. «Ognuno conosce bene il proprio mestiere - dice al pm che cerca di semplificare i passaggi di quella crisi di vent'anni fa - le trattative intorno a un governo sono lunghe e complicate; se non ho letto male i giornali, qualcosa di simile accade anche oggi». Ma ai pubblici ministeri Fausto Cardella e Alessandro Cannevale interessa quello che accadeva ieri, cioè vent'anni fa. Pm: «Senatore, lei conosceva la rivista Op?». Andreotti: «Leggevo gli articoli sulle rassegne stampa, quando c'era qualcosa che mi riguardava». Pm: «Che giudizio aveva del suo direttore, Mino Pecorelli?». A.: «Faceva una pubblicazione con gli aculei, pungente, che probabilmente aveva entrature con gli ambienti militari. Io però non ho mai saputo che facesse ricatti». Pm: «Ha mai espresso lamentele contro Pecorelli?». A.: «No. Forse lo sottovalutavo, ma preoccupazioni non ne ho mai avute». Pm: «Lo conosceva?». A.: «No. L'ho visto solo in qualche foto, che non sono una meraviglia». Pm: «Eppure nel 1970 fu capo ufficio stampa del ministro Sullo». A.: «Con tutto il rispetto, non mi importava niente di chi fosse il capo ufficio stampa di un ministro senza portafoglio. Poi a gennaio del '79 gli mandai delle pillole per il mal di testa». Pm: «Chi le disse che Pecorelli ne soffriva?». A.: «Franco Evangelisti. Ancora oggi c'è gente che mi scrive per l'emicrania, perché si sa che io ne soffro; è un rapporto di solidarietà tra emicranici». Agli atti del processo c'è la famosa storia degli «assegni del presidente», una vicenda di finanziamenti alla corrente andreottiana di cui Pecorelli era venuto a conoscenza; voleva pubblicarla su Op, ma all'ultimo momento non lo fece. In precedenza Op aveva parlato di altri assegni che «svolazzavano» intorno ad Andreotti, che il senatore smentì. Nel corso delle indagini, l'accusa ha scoperto un finanziamento di Rovelli del 1975. Pm: «Ha mai ricevuto assegni da Nino Rovelli?». A.: «Quando la de sollecitò un impegno straordinario, io chiesi aiuto a Rovelli, del quale ero amico, spiegandogli che il partito cer- cava finanziamenti... Io non me n'ero mai occupato prima, né me ne occupai dopo... Rovelli mi diede, più o meno, 150 milioni». Pm: «Li diede a lei personalmente?». A.: «Una parte sì, ma io nemmeno li guardai. Li girai poi a Radaelli, quello del Cantagiro, per organizzare delle manifestazoni. Ma quando uscì la storia degli assegni su Op, io non pensai a questa storia». Pm: «Però Op non aveva scritto cose inesatte...». A.: «In quel momento non mi potevo ricordare della storia di Rovelli». Secondo l'accusa e quanto riferito da un ex segretario di Andreotti, Carlo Zaccaria, durante le indagini il senatore avrebbe mandato il suo collaboratore da Radelli per chiedere di lasciarlo fuori dalla vicenda. «Mi avrà frainteso», si difende ora Andreotti. Pm: «Ma lei gli mandò a dire di non fare il suo nome?». A.: «Io volevo solo ricostruire la vicenda. Avrò detto che se rimanevo fuori era meglio, perché erano già uscite le accuse di mafia e in troppi stavano facendo il mio nome, ma era un auspicio, non certo un tentativo di condizionare un testimone». Uno dei capisaldi dell'accusa ad Andreotti sono i memoriali di Moro scritti dal carcere brigatista, nella doppia versione del 1978 e del 1990. Evangelisti, prima di morire, ha raccontato di una visita notturna a casa sua del generale Dalla Chiesa, che nel '78 scoprì il primo memoriale in un covo delle Br, il quale gli preannunciò una visita anche ad Andreotti. Pm: «Lei sa che Op scriveva, fin dal 1978, di un doppio memoriale Moro?». A.: «Sì, ma quello che mi riguarda era già contenuto nella versione del 1978. La verità è che Moro scrive cose gravi e assurde più che contro di me, contro Zaccagnini e contro Taviani, per esempio. Io penso che lui all'inizio sperasse di venire liberato grazie alla trattativa, ma poi, quando ha capito che non era possibile, fece una manovra di avvicinamento alle Br rompendo con la De e con tutto il resto. Provava a convicerle che per loro era più utile lasciarlo vivo che ucciderlo». Pm: «Lei ha avuto contatti con Dalla Chiesa prima e dopo il ritrovamento del memoriale del 1978?». A.: «No, in quei giorni non vidi Dalla Chiesa». Pm: «Come spiega le dichiarazioni di Evangelisti?». A.: «Non lo so, negli ultimi tempi era in una situazione di totale disfatta, stava su una poltrona tutto il giorno, senza potersi muovere. Anche la moglie dice che non ci fu nessuna visita notturna di Dalla Chiesa». Alla base di tutto il processo ci sono le dichiarazioni del pentito di mafia Tommaso Buscetta; è lui a riferire che Badalamenti gli disse che Pecorelli fu ucciso dalla mafia, su interessamento dei cugini Salvo, per fare un favore ad Andreotti. Secondo l'imputato, dietro tutto questo c'è un «suggeritore». Pm: «Chi può essere?». A.: «Non lo so. Certo è che Buscetta fa affermazioni incredibili, come quella secondo la quale io avrei detto a Badalamenti che di persone come lui ce ne vorrebbe una in ogni piazza d'Italia; una cosa del genere non la direi nemmeno della Montalcini, o di Carlo Rubbia. E poi l'ho fatto estradare in Italia, su sollecitazione di Giovanni Falcone, e i miei governi hanno fatto le leggi e i decreti più duri contro la mafia». Pm: «Anche nel periodo 19761979?». A.: «A quel tempo le emergenze erano la crisi finanziaria e il terrorismo». Oggi si prosegue con il controesame della difesa. Giovanni Bianconi BURETTA «Non ho mai detto che di gente come lui c'era bisogno in ogni piazza Non lo direi neanche di Rubbia o della Levi Montalcini» PECORELLI «Faceva una rivista con gli aculei Non lo conoscevo Con questa storia non c'entro affatto Gli mandai solo delle pillole per il mal di testa» LE ACCUSE «Mi hanno voluto togliere di mezzo perché davo fastidio Ma non mi acquieterò finché non avrò scoperto chi mi ha incastrato Se lei, procuratore, mi aiuta le sarò grato» Il senatore Andreotti ieri a Perugia durante l'interrogatorio

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