Raid anti-Bin Laden La Reno fu ignorata di Franco Pantarelli

Raid anti-Bin Laden La Reno fu ignorata Raid anti-Bin Laden La Reno fu ignorata NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Il ministro della Giustizia era contrario, il capo dell'Fbi era all'oscuro e i comandanti militari lo hanno saputo solo all'ultimo momento: sono le ultime novità uscite fuori sul bombardamento americano contro Al Shifa, l'impianto farmaceutico di Khartoum distrutto dai missili americani il 20 agosto scorso, in contemporanea con l'attacco ai campi dei terroristi di Osama Bin Laden in Afghanistan. E si sono sapute grazie al lavoro da certosino di un noto «investigative reporter», Seymour Hersh, che ha ricostruito tutta la genesi di quell'attacco, ha intervistato un'ottantina di persone fra membri del governo, del Pentagono e dei servizi segreti ed ha pubblicato il risul- tato del suo lavoro sul «New Yorker». Molto di quello che Hersh racconta si sapeva già, come si sapeva già che il momento scelto per quell'attacco (tre giorni dopo la pubblica «confessione» di Bill Clinton sulla faccenda Monica Lewinsky) aveva destato parecchi sospetti. Ma almeno un paio delle scoperte da lui fatte sono inedite. La prima è che Janet Reno, il ministro della Giustizia, aveva esplicitamente chiesto di rinviare l'attacco perché le prove raccolte contro Bin Laden non erano considerate sufficienti a far rientrare l'azione americana «entro gli standard delle leggi internazionali» (insomma quell'attacco era illegale perfino secondo il ministero della Giustizia americano) e perché comunque il legame fra lui, Bin Laden, e i bersagli scelti non era stato chiaramente provato. Le sue obiezioni non furono prese in considerazione. L'altra cosa inedita scoperta da Hersh è che i capi militari, cioè i comandanti di Marina, Aviazione, Esercito e Marines, che costituiscono lo stato maggiore, sono stati tenuti all'oscuro del piano d'attacco fino a poche ore prima. Soltanto il loro chairman, il generale Henry Shelton, ne era stato messo al corrente durante l'elaborazione, ma con il preciso ordine di non informarne gli altri, cosa che il Presidente ha diritto di fare ma che è anche «altamente insolita». Shelton poi si è scusato con i suoi colleghi promettendo che questo «non succederà più». In conclusione, le famose «prove convincenti» di cui avevano parlato Clinton e gli altri non avevano poi convinto mol¬ ta gente. Neanche Bobby May, un amico personale di Clinton da 25 anni che in quanto businessman del petrolio fa affari con il Sudan e si trovava a Khartoum proprio quel giorno. Lui non è in grado di dire se lo stabilimento di Al Shifa producesse o no armi chimiche come sostiene Washington, ma certamente è in grado di dire che quando gli uomini della Casa Bianca dicevano che quello stabilimento era «strettamente sorvegliato» stavano mentendo. A Khartoum, dice, «era la prima cosa che i sudanesi mostravano ai visitatori. Ne andavano talmente fieri che perfino le scolaresche venivano portate lì in visita». E aggiunge: «Ho sempre avuto una grande fiducia nei servizi segreti americani. Ma ora...». Franco Pantarelli

Luoghi citati: Afghanistan, Khartoum, New York, Sudan, Washington