L'ira dei compagni-contro

L'ira dei compagni-contro IL MALESSERE DEI MILITANTI La frattura nelle Case del popolo della Toscana: i giovani col segretario, gli anziani con Cossutta L'ira dei compagni-contro «Non ci arrenderemo a Bertinotti» PRATO DAL NOSTRO INVIATO Sandro Cocchi arriva dal Mugello e in due parole ci spiega cosa sta passando nella pancia di un cossuttiano: «Siamo a questo punto anche perché abbiamo imbarcato persino un partito come Dp: tanti dirigenti, pochissimi elettori». E manco a dirlo sono quei «dirigenti» che adesso danno la maggioranza a Bertinotti. Da Livorno Gian Pietro Federigi, capo dei portuali di Rifondazione, conferma e dice che i suoi compagni, «al 99 per cento», sono con Cossutta: «Non dico che questo era un governo amico, no. Ma perlomeno non era nemico. Ora che si fa?». Tanto per incominciare una bella marcia su Prato, quartiere Coiano, dove c'è la mitica «casa del popolo» rimasta al Pds nella dolorosa spartizione dei beni seguita allo scioglimento del Pei. Tutti i cossuttiani di Toscana da «Pinocchio» che ieri sera ha sceneggiato l'ennesima divisione nella sinistra italiana. Qui a Prato, dove vive la federazione simbolo del sub-comandante Fausto: «Effettivamente - dice con un sorriso un po' teso il segretario Andrea Frattani - il voto da noi è stato quasi bulgaro: due astenuti e uno solo contro». Tutti gli altri con Bertinotti. Aria pesante, o per dirla con Frattani, «frizzante». Prime schermaglie di una battaglia che è appena cominciata. Arrendersi? «Io - ci dice Nino Frosini, 43 anni, segretario di Pisa - non sono un comunista da salotto, non ho infiltrazioni trotzkiste nelle vene, sono figlio di un partigiano, sono nato in una casa popolare, voglio rimanere comunista in un partito comunista. Arrendermi a Bertinotti? Mai». S'è messo in marcia anche l'ambiguo movimento dei fax e delle telefonate. «Fisiologico», dice Frattani, scostando per un momento dall'orecchio il telefonino incandescente. «Sì, hanno telefonato, hanno faxato...» Chi? «I soliti preordinati». Chi? «I soliti», Vuol dire quelli di Cossutta o di chissacchì, non del partito, perché lui è convinto: «Qui a Prato la crisi si fa sentire, sentiamo l'onda letale che arriva dal Sol Levante, chiudono le fabbriche, la gente ha paura e pensa che Bertinotti abbia ragione». Frattani armeggia col suo telefonino. Tam-tam faustiano: «Gino, vieni anche tu alla casa del popolo, ho parlato con Gad Lerner e mi ha assicurato che ci fa parlare. Devi intervenire, devi dire...» Parla con Stefano (Cristiani, segretario di Pistoia) e gli chiede se ha organizzato i suoi. Dice che anche i bertinottiani sono in marcia: ci sarà Angelo Cardona, da Arezzo e Salvatore Allocca da Grosseto. Ha 35 anni, il Frattani, fa l'amministratore di stabili, racconta di essere entrato in politica solo quattro anni fa, quando andò al governo Berlusconi e sentì una «molla» che gli scattava dentro la pancia: «In quel momento ho capito che il mio Paese rischiava grosso». Ma perché con Bertinotti? «Per la sua grande capacità teorica, per la visione di insieme, perché mi spingeva a ragionare». E Cossutta? «Un trait d'union sentimentale». E basta? «Basta». Aldo Giampolini, uno dei due coraggiosi astenuti, uno dell'esiguo partito del «né-né», né con Bertinotti-né con Cossutta, pensionato, uno che viene dal Pei, spiega che qui a Prato la sbandata unanimista per Fausto si deve al suo carisma: «Ci sono molti giovani e hanno un rapporto di vero amore con Bertinotti». Difficile averlo con Cossutta. Il taglio generazionale (i giovani con Fausto, gli altri con Armando) spiega qualcosa, non tutto. Ennio Gori, giovane cossuttiano, dalla sua libreria Pellegrini del centro di Arezzo, ci dice che la differenza è tra chi vuole una politica «ragionata e una dell'immagine». Un altro cossuttiano, Nino Frosini, che viene dal profondo del Pei, dice che Fausto «comunista non è mai stato, non sa far politica, il suo destino è quello di un predicatore di Hyde park: parlare nel vuoto». E' uno che «viene dai socialisti», dice Cocchi e sembra una sentenza. Bolle tutto questo nella pentola della casa del popolo, intorno all'ufficio del segretario («Piacere, Benzi Mario»), ex operaio tessile, pensionato, nel Pei dal '56, ora diessino, elettore di Veltroni nel duello con D'Alema di due anni fa. Ci racconta del «male che si sta facendo alla sinistra» in uno scenario surreale: un manifesto di Lenin in russo («Il suo nome e la sua opera sono immortali»), una foto di Togliatti, una collezione di falci e martello. Quattro compagni pidiessini gli danno corda, citano e ricitano Marx, attaccano Bertinotti: «Sì, in fabbrica magari c'è qualcuno che dice che ha ragione, ma bisogna saper ragionare: Marx diceva che la politica va adeguata ai tempi e ai luoghi...». Che tempi. Diluvia, fuori dalla casa del popolo e un po' anche qui dentro. Però il segretario Benzi Mario, senza far capire bene come la pensa, una cosa ai bertinottiani la vuole dire: «Se torna al governo Berlusconire io non me lo auguro, noi si torna tutt'insieme in piazza». E' una battuta ed è un vizio: insieme solo all'opposizione? Cesare Martinetti Le critiche al segretario «Viene dai socialisti e non sa far politica Il suo destino? Quello dei predicatori solitari negli angoli di Hyde Park Parlare nel deserto» Gli uomini del leader «Qui l'onda della crisi che arriva dall'Oriente si fa sentire: le fabbriche chiudono, gli operai hanno paura, e pensano che Fausto sia nel giusto» A sinistra un militante di Rifondazione davanti ad una sezione toscana Un giovane iscritto alla federazione toscana avvolto nel «lenzuolo di Rifondazione»