Controffensiva di Bertinotti «Caccerò chi vota l'Ulivo»

Controffensiva di Bertinotti «Caccerò chi vota l'Ulivo» Controffensiva di Bertinotti «Caccerò chi vota l'Ulivo» IROMA N fondo, a questo partito non serve un presidente...... Armando Cossutta ha appena telefonato a Fausto Bertinotti per evitare che il segretario apprendesse dalle agenzie quello che, con cortesia, poteva essere annunciato personalmente, sia pure poco prima dell'inizio della conferenza stampa. E, da Fausto Bertinotti, Cossutta si è sentito rispondere con le stesse parole che poi il segretario detterà alle agenzie di stampa, «Sono dispiaciuto, Armando, e ti prego di ripensarci». Beh, ha commentato dopo la telefonata con i fedelissimi il presidente a un passo delle dimissioni, «se Fausto avesse voluto davvero convincermi a restare, sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare». Ovvero, convocare la segreteria o la direzione nazionale, per discutere insieme le dimissioni di quello che è il fondatore del partito. E così, mentre Cossutta a Montecitorio diventava un ex presidente, perché «la posizione di Rifondazione oggi è velleitaria e avventurista», perché «sento la pressione di migliaia e migliaia di militanti», perché «nel partito, cggi, non c'è democrazia», nel quartier generale ormai definitivamente bertinottizzato di viale del Policlinico, corre questa voce: a che serve, in fondo, un presidente? Vedi, spiega al cronista il portavoce Ritanna Armeni, «anche quando è stato eletto segretario Garavini non c'era un presidente». Insomma, è storia del partito. Ma Cossutta, mentre si dimette ribadendo «torno ad essere un deputato e un militante, ma seguirò la disciplina di partito, dura lex sed lex», lascia intravedere uno spiraglio. Quello che non può dire, ma che i giornalisti capiscono, è che non subito, ma in un passaggio successivo, D Pro- di-bis che si delinea all'orizzonte avrà i voti dei cossuttiani. I quali si riuniranno stamattina alle 9, e daranno battaglia. Sono quanto basta per fare gruppo a sé, e se non bastassero verrebbero «prestati» un paio di transfughi dall'Ulivo. E' l'esito che Bertinotti prevede come il più probabile e che egli giudica «un tradimento della democrazia interna». Così avvisa i cossuttiani: «Chi vota a favore di Prodi, contro le indicazioni del Cpn, si mette fuori dal partito». E aggiunge, nel corso della trasmissione di Bruno Vespa «Porta a Porta», che ciò significherebbe una «scissione: una cosa sciagurata perchè questo partito ha bisogno di tutti, di tutte le storie». Un'avversione che si spiega anche con considerazioni più prosaiche. Spaccando il partito e formando un nuovo gruppo parlamentare, ai bertinottiani non resterebbe che iscriversi al gruppo misto: e perderebbero il finanziamento pubblico. Quanto al marchio, l'emblema e il nome di Rifondazione comunista, esso potrebbe essere rivendicato a pieno titolo morale dal fondatore: ma è probabile che, per riottenerlo, Cossutta dovrà rivolgersi a un tribunale. Intanto, Bertinotti comincia a sentire su di sè la pressione non soltanto di D'Alema (che ieri per la prima volta ha usato in pubblico parole dure nei suoi confronti) ma anche dei vertici istituzionali. Dove, non si sa quanto fondata, circola ancora la speranza che Bertinotti possa tornare sui suoi passi. Almeno questa è l'atmosfera che si respirava ieri al Quirinale. A questa offensiva Bertinotti risponde con una campagna mediatica: un'intervista a Repubblica e una a Liberal. E un giro su un piccolo pullman con Maurizio Costanzo, in modo da essere contemporaneamente in seconda serata, quella di ieri, al «Maurizio Costanzo Show» e da Bruno Vespa, mentre Gad Lerner dedica «Pinocchio» al popolo rifondarolo, sul tema caldo della scissione nel partito degli ultimi comunisti italiani. Dunque, stamattina i bertinottiani potrebbero perdere il loro gruppo parlamentare. I seguaci del segretario sono al lavoro per la manifestazione del 17 ottobre, per la preparazione del nuovo Comitato politico di fine ottobre, dove si eleggeranno i nuovi membri della segreteria e della direzione. Anche se Diliberto e Rizzo, i due cossuttiani doc, non hanno ancora rimesso il mandato. «Ieri, dopo le dimissioni del presidente, io e Oliviero ci siamo guardati, e ci siamo detti, e noi che facciamo? Poi abbiamo avuto talmente tanto da fare che non ne abbiamo più parlato», dice Rizzo. Già: ma finché non si dimettono, a viale del Policlinico «non è stata calendarizzata nessuna riunione della segreteria, e nemmeno della direzione nazionale». Quanto al congresso, previsto assai orientativamente per i primi mesi del 1999, è probabile che salti. Serviva a fare chiarezza tra le due correnti, che magari tra poco saranno due partiti diversi. E ieri Cossutta ha già detto di considerare «perfettamente inutile un congresso, perché l'ultimo comitato politico ha già stabilito la nuova linea del partito». Una «mutazione genetica» ha detto il presidente riprendendo le parole di Diliberto, e ricordando che si tratta delle stesse che lui medesimo aveva usato alla Bolognina, quando la «mutazione genetica» del Pei causò la nascita di Rifondazione. Poi, ieri sera l'anziano presidente si è ritirato nella sua piccola casa in un brutto palazzo all'Aventino, si è messo le pantofole, e ha acceso la tv. Stasera, Emi, ci guardiamo Fausto in televisione, ha detto alla moglie. Antonella Rampino «Chi non rispetta le indicazioni del comitato politico si mette da sé mori da Rifondazione» «La divisione? Una cosa sciagurata, questo partito ha bisogno di tutti» Il segretario rischia di restare senza gruppo parlamentare e di perdere il finanziamento pubblico. Simbolo e nome del Prc potrebbero essere rivendicati dal «rivale»

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