Il presidente si è dimesso Ora la scissione è pronta di Fabio Martini

Il presidente si è dimesso Ora la scissione è pronta Il presidente si è dimesso Ora la scissione è pronta RIFONDAZIONE SEMPRE PBU' DIVISA AROMA LLE cinque della sera, Armando Cossutta esce dalla banca di Montecitorio e attraversa in solitudine i lunghi corridoi laterali della Camera. A dispetto delle previsioni si va Verso una crisilampo? Cossutta allunga il passo, ma annuisce: «Credo...». Anche voi darete una mano a bruciare i tempi? «In alcuni casi occorre far presto. Non so come siano andati oggi la lira e la Borsa, ma capisco la fretta di Prodi e di Scalfaro». Ma nel caso lei decidesse di lasciare Rifondazione... «Io resterò sempre un comunista». Un viso che non tradisce pathos, anche se Armando Cossutta sta vivendo ore tormentate: a 72 anni è sull'orlo del terzo strappo della sua vita. Dopo Berlinguer e Cicchetto, ora Bertinotti. In pochissimi giorni il vecchio Armando è atteso da tre blitz che metterebbero in ansia chiunque: la probabilissima scissione, la nascita di un nuovo partito e il sostegno decisivo al governo. Ma l'ansia di queste ore non ha fatto smarrire ad Armando Cossutta la freddezza costruita in anni di durissime lotte interne. Con quell'aplomb, Armando Cossutta ieri ha parlato direttamente a Prodi e lo ha consigliato: «Caro presidente, io penso che dobbiamo accelerare i tempi, non lasciar sfilacciare la situazione...». Cossutta lo ha fatto capire a Prodi, ma anche a Marini, in un altro colloquio: con lui ci sono 21 deputati e l'«ora x» della scissione potrebbe scattare già giovedì, subito dopo il primo giro parlamentare, previsto per l'intera giornata di domani. Dunque, è stato Cossutta in qualche modo a dettare i tempi della crisi che poi Prodi ha fatto propri. E che oramai la scissione fosse matura, Cossutta l'aveva fatto capire nella conferenza stampa mattutina, annunciando le sue dimissioni da presidente di Rifondazione, liquidando la scelta di Bertinotti con una raffica di aggettivi feroci («Avventurista», «massimalista», «velleitaria», «estremista»), ma soprattutto dicendo queste parole: «Sento una pressione grande da parte di migliaia di militanti, da parte di masse grandissime di elettori perché questo governo possa continuare la sua attività». La scissione - non cercata ma subita - è quasi pronta. La nuova formazione ha già un nome probabile («Partito dei comunisti italiani»), un segretario in pectore (Oliviero Diliberto) e un presidente: Armando Cossutta, natural¬ mente. Ma soprattutto porta in dote un numero di deputati (tra il9ei21)edi senatori (probabilmente 8) che oltre ad essere decisivi per la sopravvivenza del primo governo Prodi, garantiscono quel gruzzolo di miliardi necessari alla vita del nuovo partito. Nel 1998 la legge sul finanziamento pubblico ha fatto affluire nelle casse di Rifondazione 8 miliardi. Nello scambio di veleni di queste ore, gli amici di Bertinotti sussurrano che il futuro partito avrebbe già pronta una sede nel quartiere Prati, a due passi dal Vaticano: l'ex redazione di «Orizzonti», una rivista finanziata dai sovietici che ebbe breve vita, dal giugno 1985 alla fine del 1986. Anche se Marco Rizzo, uno dei colonnelli di Cossutta, liquida l'illazione come «una bufala». Ma la scissione non la smentisce più nessuno. Resta da stabilire l'«ora x». Per oggi è in programma un nuovo psicodramma collettivo: si riuniranno i gruppi parlamentari di Rifondazione comunista. E' in programma un accesissimo dibattito, ma soprattutto sarà l'occasione per una nuova conta interna: quanti dei 34 deputati si schiereranno con gli «scissionisti»? Ventuno come ha garantito Cossutta a Prodi? O qualcuno in meno, come giurano i bertinottiani? E ancora: chi interverrà a nome di Rifondazione nel dibattito alla Camera previsto per domani? Il capogruppo (cossuttiano) dei deputati Oliviero Diliberto o il segretario del partito, magari in dissenso? Uno scenario paradossale ma non troppo se si pensa che da giovedì sera Rifondazione comunista potrebbe non avere più i suoi due gruppi parlamentari: alla Camera per fare un gruppo servono 20 deputati (e Bertinotti ne ha in dote 13-15), al Senato servono 10 senatori e la maggioranza ne ha soltanto 3. Morale della storia: in caso di scissione, Bertinotti e i suoi dovranno iscriversi al gruppo misto. Uno scenario che ieri mattina faceva sorridere il presidente dei deputati dei Ds Fabio Mussi, un livornese che adora le battute paradossali: «Il gruppo misto si appresta a diventare il gruppo di maggioranza... e a Bertinotti spetteranno due minuti, come spettano a Cito, a Sgarbi!». Un cronista: ma Rifondazione potrebbe porre la questione della presidenza... E Mussi, ridendo: «Se la presidenza viene tolta a Paissan si apre una questione epocale!». Fabio Martini La nuova formazione si chiamerà Partito dei comunisti italiani e conterà su 19 o 21 deputati A destra il segretario Fausto Bertinotti, in alto l'ex presidente Cossutta «assediati» dai microfoni