Maccari rissoso e geniale

Maccari rissoso e geniale A Colle Val d'Elsa l'epopea del «Selvaggio» H H A sin. «Angolo rustico» di Carrà o» «Angolo o» rrà tra un to di Roberto hi firmato accari A destra un ritratto di Roberto Longhi firmato da Maccari Maccari rissoso e geniale Disegni, incisioni e quadri degli «strapaesani» ristica, ostentatamente toscaneggiante in partenza (tanto da costituire il compatto e catafratto zoccolo duro toscano all'esordio del Novecento sarfattiano) ma presto allargato agli spiriti affini del panorama italiano, le curatrici della mostra Donatella Capresi e Barbara Cinelli hanno scandito i veri e propri capitoli, dai primi, «Gli inizi di Maccari a Colle Val d'Elsa» e «Il paese toscano» al decimo, «Il realismo della giovane generazione», con la Roma di Tamburi e Guttuso, mettendo passo a passo a confronto le pagine aperte del Selvaggio e, in alta percentuale, i disegni, le incisioni, i dipinti ivi riprodotti; o quanto meno opere strettamente affini in forma e spirito. Ne nasce, controcanto all'Italia metafisica, novecentesca, neoespressionista, un sorta di storia se¬ gréta della severa stilizzazione, lirica o drammatica, della realtà naturale e umana, che parte dal modello cézanniano per arrivare a quello picassiano. Per questo trascorriamo senza vere fratture dai paesaggi giovanili di Colle Val d'Elsa dipinti e incisi da Maccari esemplati su quelli di Soffici, in cui Cézanne è già aggiornato sul Derain amato parallelamente anche da Carrà, alla gran pagina del 1939 con disegni di Guttuso di femmine «avignonesi» e di fucilatoli goyeschi, che giustificano la presenza in mostra sia della Fucilazione in campagna del 1938-39, alludente alla fine di Garda Lorca, sia delle Ragazze di Palermo del 1940. Questa storia è via via scandita da mirabili gruppi di paesaggi toscani di Soffici, fra cui il capolavoro Campi e colline del 1925, di Rosai, di Achille Lega, poi dai paesaggi in¬ cisi e dipinti da Morandi, con il vertice didascalico dell'incrocio fra l'incisione Case a Grizzane del 1927, della sua riproduzione sul Selvaggio un anno dopo e dello stupendo dipinto dello stesso 1928, dalla collezione della Camera dei deputati. Negli Anni 30 eccellono le nature morte dipinte e incise da Morandi e le figure e nature morte dipinte da De Rsis a cui segue il confronto ad altissimo livello lungo il decennio fra Morandi e Bartolini incisori. Marco Rosei Mino Maccari. L'avventura de «Il Selvaggio». Colle vai d'Elsa, museo San Pietro Fino al 7 gennaio. Orario da martedì a domenica 10/13-15/19 jTì\ COLLE VAL D'ELSA \ EL centenario della nascita 1 di Mino Maccari lo «stra1 paese» nativo suo ricorda ÀJJ l'uomo e la sua rivista {Il Selvaggio, ultrafascista e illustrato dalle prime silografie del ventiseienne disegnatore, irte di manganelli agitati sotto il gran naso di Don Sturzo) pariteticamente sovversivi e gemali nei testi e nelle immagini, con una delle mostre di più sottile qualità e intelligenza che si possano vedere oggi in Italia in mezzo ad altre, anche valide, ma di grande appariscenza. Passato dal suo borgo rissoso, le cui squadre d'azione erano renitenti a rientrare nei ranghi del nuovo ordine monarchico e borghese, alla «colta» Firenze di Soffici, di Longhi, di Bilenchi, del classicista e perbenista Ugo Ojetti, nemico giurato e sbeffato, così come Giovanni Gentile portato in trionfo da una fioritura di gambe nude di ballerine, Maccari gioca toscaneggiando all'«understatement»: «Una cosina per aria, un'intenzione, un qualcosina che vola e perciò sfugge a ogni catalogazione: chi sono gli Strapaesani? Che ggia vogliono? Si sa e non si^sa». Oggi lo sappiamo, e sono tra il meglio poetico dell'arte fra le due guerre, ma già lo sapeva, fra scoperte ed esclusioni, chi sfogliava le pagine del Selvaggio, fiorentine, poi brevemente torinesi, poi romane: Soffici e Rosai, Morandi paesista e naturamortista, Carrà paesista, e Galante da Torino, poi De Pisis e Spazzapan e Semeghini, infine l'unico incisore confrontabile con Morandi, Bartolini, e Tamburi, fino a Guttuso. Lucidamente, al momento dell'approdo a Firenze e all'inizio del sodalizio con Longanesi, Maccari volle che il suo rissoso e beffardo Selvaggio, graficamente ispirato allo Sturm berlinese di Walden e idealmente, un secolo dopo, al sommo Charivari di Philipon e Daumier, fosse anche una «Esposizione permanente del Disegno». Da questo lato le illustrazioni del Selvaggio, con la netta prevalenza della riproduzione di disegni e incisioni assieme a quelle della Fiera letteraria, sono un'incomparabile vetrina dell'arte fra le due guerre, tanto più affascinate nella sua ostentata manifattura artigianale. Quando, chiamato Maccari da Malaparte alla redazione della Stampa a Torino e sempre incombendo a Firenze l'egemonia di Ojetti, la rivista lasciò la città, l'annuncio ai lettori fu questo, in perfetto stile Selvaggio; «Da Firenze Il selvaggio, organo artistico e fascista, ha dovuto fare le valigie, ed è nato Pegaso, tranquillamente, bello grasso, ben pasciuto, gadollo e trionfante». Pegaso era la rivista patinata di arte antica e moderna di Ojetti. Sulla falsariga di questa caratte¬