«Una Mani pulite per lo sport»

«Una Mani pulite per lo sport» «Una Mani pulite per lo sport» «In Italia il doping è istituzionale» CROMA ARLO Vittori, 67 anni, il professore che allenò Mennea, il «guru» dell'atletica italiana, è un uomo che si capisce al volo perché può portare un atleta a superare sé stesso. E' un trascinatore. Un catalizzatore di energie. Un turbine di parole che passano velocissime come i suoi atleti dallo sport alla politica, alla morale, alla scienza. Un integralista, in senso buono, che crede ancora nello sport come sfida a viso aperto. Il doping, ai suoi occhi, è da miserabili. «Un modo per arrivare dove non si riesce. Per apparire, attenzione, non essere, un campione. Per vincere dove si perderebbe. E' come la mazzetta negli appalti. Una corruzione del fisico e dell'animo. La morte della competizione. Ora si sono mossi i magistrati. Speriamo che ci sia la Mani Pulite degli stadi e delle palestre. Che non facciano indagini a metà. E speriamo che pia finisca anche nello sport la Prima Repubblica». Professor Vittori, lei ce l'ha a morte con i potenti del Coni. «Sfido. Mi hanno emarginato e poi cacciato dall'atletica, a me che facevo le Olimpiadi quando lorsignori portavano ancora il bavaglino, perché ero rigidissimo sul doping. Per le mie denunce». Perché lei il doping l'ha denunciato apertamente, no? «Eccome se l'ho denunciato. Nel 1987-88, dieci anni fa, scoppiò uno di questi soliti scandali del doping. Fu messa su dal Coni una commissione d'inchiesta. Presidente era Rossi Bernardi, che presiedeva il Cnr, con il far- macologo Garattini, l'ex presidente dei medici sportivi Tuccimei, e quel Gasbarrone che hanno cacciato l'altro giorno. Io vado e parlo. Racconto di un medico della federazione atletica leggera che faceva lui la pipì nelle provette al posto degli atleti. re rché olpevoli acciato» Beh, questo mio verbale è letteralmente sparito. Non si trova più. La commissione non approdò mai a nulla. Affossarono tutto». Come finì con la storia del medico? «Che mi portò in tribunale. E lì vinsi perché vennero a testimoniare gli atleti su quello che succedeva al momento del prelievo». Insomma l'antidoping del Coni fa acqua da tempo. «Guardi che a me la sola parola antidoping mi fa ridere. Ma se lo fanno loro, al Coni, il doping!». Prego? «Massi. Vedo che il giudice Guariniello si preoccupa che fanno male gli accertamenti antidoping. Lo scandalo vero, invece, è il doping istituzionale. Questo è il grave. Guardate il sistema: là dentro i controllati eleggono i loro controllori. Ditemi voi se è un buon sistema. E non mi va nemmeno di gettare la croce addosso all'ultimo dei medici sportivi, quando sono i maggiorenti del Coni che da anni sanno e fanno. Secondo me, Veltroni deve svegliarsi e mandare un commissario dall'esterno. Là c'è bisogno di fare pulizia sul serio». Torniamo al doping istituzionale, professore. «Che devo dire? Mi meraviglio della vostra meraviglia. E' già tutto pubblico. Forse dimenticato. Il nuotatore Franceschi l'ha denunciato più volte cosa accadde alle Olimpiadi del 1984. Facevano l'autoemotrasfusione. Conconi, l'ho visto io, era nella comitiva olimpica a Mosca del 1980. Il presidente del Coni Gattai, prima delle Olimpiadi dell'88, si giustificò dicendo che sì, fino al 1984 si faceva, ma non era ancora una pratica vietata. Per forza, la legge firmata dal ministro Degan arrivò l'anno dopo». E quindi, a rigore, non erano fuorilegge. «Sì, ma abominevole lo stesso. Perché i rischi per la salute dell'autoemotrasfusione erano già conosciuti. C'era una deputata ematologa, l'onorevole Ceci Bonifazi, che lo denunciava a ogni convegno. Invano. E all'epoca nessun pretore si prese la briga di andare a vedere se si metteva a repentaglio la salute di qualche atleta olimpico». Allora ha ragione Sandro Donati nel dire che c'era un clima da Ddr? «Ecco, all'Est c'era il doping di regime. In Occidente, invece, era in uso il doping privato. In Italia s'è fatto il peggio di tutti: il doping istituzionale. Che è molto peggio del doping privato. Perché è normale, umano, che qualche atleta cerchi di imbrogliare facendo ricorso ai farmaci. Ma le istituzioni sportive devono vigilare e reprimere, non farlo loro. Qui da noi invece il singolo era spinto c aiutato da- oro ite egreto» nato e cacciato come colui che schiavizzava gli atleti solo perché pretendevo di fare esami delle urine e del sangue. Io mi ero impuntato: c'era un medico, c'erano le macchine, c'erano i kit. E quindi gli esami andavano fatti. Così gli atleti se ne sono andati tutti. Era finita che allenavo i muri. Ma la federazione di atletica e Nebiolo, anziché sostenermi, e dare un segnale di pulizia, mi isolarono. Mi accusavano di aver creato un clima di terrore con questa insistenza sugli esami. Sono dovuto andare via». E adesso? «Adesso giro per le scuole. Ascolto le domande dei giovani e rimango di sasso. Perché stiamo corrompendo l'etica dei nostri giovani. Il doping per loro è nonnaie, persino giusto, purché resti segreto. D'altra parte questo è il Paese delle mazzette, no? Ecco cosa insegniamo alle classi dirigenti del futuro. A imbrogliare. E pensare che lo sport dovrebbe migliorarci. Ma questi, sa, sono discorsi già etichettati. Roba da vecchio romantico...». Francesco Grignetti Carlo Vittori il professore che allenò Pietro Mennea «I giovani delle scuole mi raccontano che per loro prendere sostanze proibite è normale purché resti segreto» gli organismi sportivi a doparsi». Gli organismi sportivi? «Prendiamo la mia storia personale, se vuole. A un certo punto, nei primi anni Ottanta, dirigevo la scuola di atletica a Formia. Sono stato processato, condan¬ LA DENUNCIA DEL PROFESSOR VITTORI «Mi fa ridere sentir parlare di antidoping al Coni perché è lì che vanno cercati i colpevoli Io denunciai tutto e fui cacciato»

Luoghi citati: Ddr, Formia, Italia, Mosca