Il leader promosso Ma solo dai numeri di Antonella Rampino
Il leader promosso Ma solo dai numeri Il leader promosso Ma solo dai numeri ROMA ER fortuna, in democrazia i voti si contano e non si pesano». Parole rivelatorie, quelle di Fausto Bertinotti appena riuscito a vincere la battaglia dentro il suo partito. Perché la decisione di votare «no» alla Finanziaria, e soprattutto «no» al governo Prodi, è stata approvata ieri al comitato centrale di Rifondazione, in tutto 338 persone, con 188 voti: contate le 8 assenze, gli astenuti, e il 7 per cento dei trotzkisti di Ferrando, equivale al 56 per cento del partito. Ma, di fatto, la linea politica del segretario, la decisione per la rottura, ha preso solo il 48 per cento: molto meno della maggioranza assoluta, molto meno di quanto i bertinottiani s'aspettassero, molto meno di quanto servirebbe per tenere il partito unito, e fedele alla linea congressuale. E dunque Bertinotti va dai giornalisti e dice che «quello che vale sono i voti». E infatti, «ne basta anche uno solo in più per governare un partito» fa eco Franco Giordano. Ma Bertinotti ha dovuto imbarcare i trotzkisti di Livio Maitan. I quali hanno mantenuto fede al patto stretto con il segretario, nonostante Bertinotti nella sua relazione conclusiva abbia chiaramente fatto riferimento alla possibilità di tornare «nel medio periodo» al governo con D'Alema, che i trotzkisti considerano come un revisionista compromesso con il capitale. E nonostante Bertinotti abbia adombrato, in un passaggio sulla «natura della destra in Italia», la possibilità di pescare in quel bacino i voti che potrebbero far crescere Rifondazione: «Molta gente muove verso destra sulla base di una rottura sociale». E' stato durissimo con Cossutta e i suoi, Bertinotti: il Dpef lo avete votato anche voi, e così pure lo slogan «Svolta o rottura», dice. Ma resta il fatto che quando Oliviero Diliberto accusa la «mutazione genetica del partito», e quando ancora prima Cossutta aveva sottolineato la na scita di una nuova maggioranza nel partito, frutto di una vera e propria mesaillance con i trotzkisti, hanno denunciato qualcosa in più di uno scontro, per quanto duro, sulla natura del partito e sui rapporti con le istituzioni. Di fatto, il vincitore del Comitato politico di ieri è a capo di un partito dalla linea politica mutata: da «autonomia e unità» la parola d'ordine è stata trasformata in «alternativa di sinistra». La «mutazione genetica» di cui Oliviero Diliberto ha parlato potrebbe spingere, e con una motivazione politica nobile, i rivali cossuttiani verso la scissione. Un'ipotesi che resta sempre più all'ordine del giorno, e che potrebbe venir messa in pratica durante i passaggi parlamentari della crisi di governo, ormai alle porte. Il primo passaggio è quello della riunione dei gruppi parlamentari: quello di Rifondazione dovrebbe riunirsi martedì, anche se la data certa dipende dal calendario dei lavori di Montecitorio. Lì i bertinottiani sono in minoranza: nonostante le pressioni, e la disinformazione dei seguaci del segretario, i parlamentari schierati col governo sono 21. Venti sono certi: ma non sembra probabile che il ventunesimo, il professor Giuliano Pisapia, che nel partito è un indipendente, voti contro la Finanziaria. Di certo, i cossuttiani hanno già detto, DiUberto e Rizzo in testa, che obbediranno alla linea del segretario per disciplina di partito, ma che non taceranno e faranno di tutto per tenere in vita Finanziaria e governo. Nerio Nesi, che da ieri ufficialmente è uno dei loro, avendo votato la mozione di Cossutta, prevede che il discorso che Diliberto farà in Parlamento, e che gli spetta essendo egli il capogruppo, spiegherà molto bene la posizione dei cossuttiani. I quali, intanto, hanno ripreso i contatti con Pcpsndhsvcscrqamc Palazzo Chigi e con il Quirinale: alcuni di loro contano che quei mille e più miliardi che Prodi tiene nel borsellino possano convincere Bertinotti alla retromarcia. Ma in realtà, col discorso e il voto di ieri Bertinotti ha tagliato i ponti, ha chiuso ogni via davanti a sé. Ha sfidato il partito, impugnando una vittoria incerta, ottenuta con una corrente che ha pochissimo a che spartire con la sua vocazione politica, e che lavorerà per tenerlo ancorato al ruolo d'opposizione anche qualora le sinistre dovessero andare al governo. Soprattutto, a parte la manifestazione del 17 ottobre, non è chiaro quale ruolo potrebbe giocare Rifondazione a partire da domani. Un partito che, se continuerà ad essere oggetto dell'attenzione' di Botteghe Oscure, lo sarà solo al fine di evitare il rischio che questo passaggio di pre-crisi di governo comporta. Del famoso patto D'Alema-Bertinotti infatti nulla si sa, anche se è stato usato per avere voti in Comitato politico: della base bertinottiana, che è assai composita, non tutti sono convinti che Rifondazione debba stare all'opposizione a tutti i costi. Per il resto, Bertinotti l'ha già detto: si aspetta di avere il Paese contro. Ma questo, si sa, a lui non dispiace. Antonella Rampino ««Svi;! ssii^ IL DUELLO NEL PARTITO Il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti col presidente Armando Cossutta durante il comitato politico di ieri a Roma
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