GENTILE un santo del fascismo? di Paolo Mieli

GENTILE un santo del fascismo? Dopo la scomunica, il pensiero e la figura del filosofo sono riabilitati da laici e cattolici: anche un «erede» di Croce gli rende giustizia GENTILE un santo del fascismo? DA alcuni anni il quotidiano cattolico Avvenire ama rivisitare di quando in quando il pensiero e l'ope Ira di Giovanni Gentile. Dapprincipio per la penna di Vittorio Messori che, proprio sulle pagine di quello che è considerato come l'organo ufficiale della Conferenza episcopale, è sceso in campo in difesa di Gentile definendolo intellettuale «tra i più grandi» di questo secolo. Per sollevare poi il caso dell'Enciclopedia Treccani di cui com'è noto Gentile fu ideatore e curatore. In merito al quale Messori ha scritto: «Malgrado il direttore della grande opera - Gentile, appunto fosse l'ideologo principe del regime... alla "Treccani" collaborarono volentieri, firmando con nome e cognome, praticamente tutti gli intellettuali - stranieri compresi che allora contavano e che poi divennero gli antifascisti settari che sappiamo». Nella nota, che è ora ripubblicata nel volume Le cose della vita (Edizioni San Paolo), lo studioso - la cui autorevolezza in ambiente cattolico è consacrata dalla circostanza che Giovanni Paolo II lo ha scelto come interlocutore per il celeberrimo libro-intervista Varcare la soglia della speranza - avanza addirittura l'ipotesi che questo coinvolgimento da parte di Gentile di «tutti» (o quasi) gli intellettuali degli Anni Trenta nella Treccani - e in altre attività culturali più o meno direttamente collegate con il regime fascista - sia da mettere in relazione con l'uccisione nel '44 del «vecchio studioso inerme» in circostanze avvolte ancora da un qualche alone di mistero: Gentile sarebbe stato eliminato «perché sapeva troppo: un suo processo a guerra finita poteva inchiodare praticamente tutta l'intellighenzia alle sue responsabilità di collaborazionismo». Qualche settimana fa Avvenire è tornato sulla questione Gentile prendendo ancora una volta di mira l'imbarazzo dei laici nei suoi confronti. In particolare Avvenire apriva una curiosa polemica nei confronti di Eugenio Garin a cui veniva imputato di aver rimosso, in un'intervista al Corriere della Sera, i suoi antichi rapporti con il filosofo che fu ministro di Mussolini. Polemica davvero curiosa, dicevamo, dal momento che nell'ultimo decennio proprio Garin è tornato più d'ogni altro sulla necessità di fare i conti con il pensiero gentiliano. Nel 1991 con la prefazione alla pubblicazione per i tipi Garzanti delle Opere filosofiche dello stesso Gentile. Nel 1997, poi con l'Intervista sull'intellettuale (a cura di Mario Ajello) pubblicata da Laterza. Lo studio del '91, impostato come un dibattito a distanza con uno tra i più importanti studiosi di Gentile del mondo cattolico, Augusto Del Noce, era dedicato proprio a rompere la tradizionale identificazione tra l'«attualismo» gentiliano e la dottrina fascista. E a dare una valutazione sostanzialmente positiva della sua filosofia, senza fermarsi al '23 cioè a quando Gentile aderì al fascismo. Il saggio aprì una breccia nel campo laico antifascista, tant'è che Gianni Vattimo recensendolo assai favorevolmente sulle colonne di Tuttolibri scrisse: «La filosofia di Gentile sembra avere ancora da dirci qualcosa di significativo per i nostri problemi attuali». Nell'intervista Laterza, Garin tornò in modi ancor più particolareggiati sull'argomento: «Non penso e non ho mai pensato... al nesso necessario attualismo-fascismo sempre sostenuto e difeso, del resto con grande finezza, da Augusto Del Noce. Che poi Gentile considerasse la sua posizione teorica "liberale" motivo della sua adesione al fascismo è esatto, ma non dimostra affatto il nesso attualismo-mussolinismo». E a Mario Ajello che opportunamente insisteva a porgli domande su questo tema, Garin rispondeva: «Innegabile fu comunque lo sforzo di Gentile, sul terreno della cultura, di conservare innanzitutto il rispetto della competenza e dei valori di verità. Questo spiega che uomini come Guido Calogero, an- tifascista da sempre, e antifascista combattente, collaborassero costantemente con Gentile sul piano culturale e non solo all'Enciclopedia. Questo spiega come su riviste quali Civiltà moderna collaborassero, fino alla crisi della seconda guerra mondiale, Omodeo come Mondolfo, Gaetano De Sanctis come Mario Fubini, e ancora dopo il '38 e le leggi razziali, con nomi fittizi, ebrei anche stranieri. Questo spiega infine perché, sotto il fascismo la cultura italiana risentì tutta della presenza del regime». Certo, Gentile fu pienamente fascista. Anche nella Repubblica sociale. Fino alla morte. «Ciò non toglie», affermava Garin, «che continuasse, a suo modo, a difendere i diritti della cultura e il suo rigore, in una tensione drammatica degna di rispetto». «Degna di rispetto»? Sì, Garin lo dice senza mezzi termini e in più di un'occasioe parla della «profonda avversione (di Gentile, ndr.) al razzismo fascista». Raccontando anche episodi che lo hanno coinvolto di persona: «Io stesso ricordo che nel '39, intermediario anche Alessandro Levi, incontrai Gentile che mi chiese se avrei accettato di "prestare" il mio nome a un commento scolastico a Cartesio che Rodolfo Mondolfo, che stava per partire per l'esilio argentino, aveva preparato per una collana sansoniana. Le leggi razziste - è noto - vietavano non solo l'adozione ma la pubblicazione di testi di autori israeliti. Accettai, ovviamente; aggiunsi qualche pagina introduttiva, e solo nel '45 fu possibile restituire a Mondolfo la paternità del suo lavoro». Questo modo più obiettivo e sereno di tornare sulla figura di Gentile ha dei precedenti. Ad esempio la Vita di Giovanni Gentile, scritta da Manlio di Lalla e pubblicata nel 1975 da Sansoni. Un libro che pur senza essere un'esaltazione di Gentile era pervaso da umori tutt'altro che antigentiliani, al punto che la Sansoni, in omaggio allo spirito dei tempi, ritenne di cautelarsi con un'«avvertenza» iniziale in cui metteva le mani avanti parlando di un «giudizio sull'uomo e sul pensatore turbato da non sopite passioni, o impedito dalla difficoltà di cogliere i diversi e più autentici aspetti del suo pensiero e della sua azione civile alla luce di quel che fu forse il tramonto della tradizione risorgimentale». E mettendo bene in chiaro che l'editore si riservava il diritto di «dissentire da alcuni suoi (del di Lalla, ndr.) giudizi ed affermazioni». Poi, nel 1984, venne dato alle stampe da Bompiani Giovanni Gentile. La filosofìa al potere, di Sergio Romano che ebbe accoglienze positive. Tant'è che nel 1989, nella prefazione a un bel libro di Jader Jacobelli, Croce Gentile. Dal sodalizio al dramma (Rizzoli), Norberto Bobbio - dopo aver raccontato di esser stato all'inizio degli Anni Trenta «più gentiliano che crociano» anche se poi proprio attraverso l'insegnamento di Croce si era reso conto «che non era vero che il fascismo avesse ragione perché era difeso da Gentile, ma, al contrario, che Gentile aveva torto perché difendeva il fascismo» - quasi ad aprile la strada a nuovi studi si augurava che, così come stava allora accadendo per Croce, fosse sollevato il velo d'oblio anche per quel che riguardava le opere di Gentile: «Chi sa che venga la volta (che sia tolto, appunto, il velo d'oblio, ndr.) anche della filosofia dell'atto puro della quale si potrebbe considerare un segno premonitore la bella monografia di Sergio Romano uscita cinque anni fa». Sempre in quella prefazione del 1989 Norberto Bobbio ricordava anche che «durante il fascismo, se Croce apparve sempre più come l'ispiratore dei primi gruppi di giovani antifascisti, il prestigio di Gentile non venne mai meno anche in molti di costoro, come Calogero e Capitini, che furono tra i fondatori del movimento liberalsocialista». Ed è probabilmente anche per effetto dell'esortazione di Bobbio a togliere il «velo d'oblio» che per molto tempo era rimasto a coprire l'opera e la figura di Giovanni Gentile che negli Anni Novanta sono venuti alla luce alcuni saggi assai approfonditi sull'argomento. Il primo, di Paolo Simoncelli, aveva per titolo Cantimori, Gentile e la Normale di Pisa (1994, Franco Angeli Editore). Obiettivo dichiarato di Simoncelli era quello di dimostrare, sulla base di un gran numero di documenti inediti, che l'oblio di cui sopra era stato «non del tutto disinteressato». A Gentile che, pur insegnando a Roma, era stato dal 1928 prima commissario poi direttore nella Normale di Pisa, Simoncelli dava atto esplicitamente di esser stato, con spirito liberale, il mèntore di una leva di docenti (in primis Delio Cantimori) e studenti che avrebbero costituito l'ossatura intellettuale della nuova generazione antifascista. Difendendoli in molte occasioni dal regime. Anche e soprattutto dopo il '38 all'epoca delle leggi razziali come dimostra in caso emblematico di Paul Oskar Kristeller. All'israelita Kristeller era stato affidato tra il '35 e il '38 il lettorato tedesco alla Nonnaie e quando le autorità germaniche «raccomandarono» che, in ottemperanza ai dispositivi antisemitici, fosse sostituito da Werner Ross, Gentile fece propria la causa di Kristeller, lo aiutò a trasferirsi negli Stati Uniti e dopo qualche mese lo vendicò, in aperta sfida agli accordi culturali italo-tedeschi, liquidando Ross e chiamando al suo posto Cesare Luporini. Altrettanto ricco di documentazione ma nei canoni di una fortissima ostilità al filosofo dell'attualismo fu poi nel 1995 il libro di Gabriele Turi Giovanni Gentile Una biografìa (Giunti editore). Le carte inedite su cui il saggio è costruito sono di grandissimo interesse ma tutto si risolve in una stroncatura della figura accademica, politica e morale del filosofo. Demolizione che mette in ombra molte di quelle benemerenze che, a oltre cinquant'anni dalla sua morte, il mondo intellettuale antifascista si è mostrato disponibile a riconoscere. Il Gentile di Turi è un fascista dalla testa ai piedi, i suoi conflitti con il regime non meritano di essere approfonditi e non dimostrano alcunché circa un suo presunto liberalismo. Il fatto poi che un ramo fondamentale dell'intellettualità liberalsocialista e comunista sia nato e si sia indiscutibilmente sviluppato dal tronco gentiliano non merita anemia riflessione. Il volume di Turi che, ripetiamolo, non è un pamphlet con rimasticature di cose già note ma il libro serio di uno storico, sembra chiudere la discussione. Per sempre. Ma, prima che il secolo si chiuda, arriva adesso una sorpresa. Gennaro Sasso, studioso di Benedetto Croce nonché grande custode dell'eredità crociana (è direttore dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli che è il tempio in cui è conservata quel l'eredità) si accinge a pubblicare dal Mulino un libro, Le due Italie di Giovanni Gentile, la cui tesi è che l'adesione che Giovanni Gentile dette al fascismo è estranea al suo pensiero filosofico, rigorosamente inteso nel suo nucleo logico. Sarebbe qui del tutto improprio usare termini come «rivalutazione» o «riabilitazione», ma è un fatto di grandissimo rilievo che uno tra i più importanti eredi spirituali di Croce, cioè del filosofo la cui polemica con Gentile ha diviso per decenni il mondo intellettuale italiano, decida di rendere giustizia con un saggio molto approfondito di quasi seicento pagine alla dottrina del rivale del suo maestro. Le pagine iniziali del libro sono dedicate a ribadire più volte che Le due Italie di Giovanni Gentile non è un testo «revisionista». Non si trattasse di Gennaro Sasso, diremmo che «avvertenze» del genere sono anch'esse figlie dei tempi come quella nota dell'editore di cui s'è detto a proposito del libro di Manlio di Lalla. In questa stagione molti storici si sentono in dovere di ungere i cardini della loro trattazione con queste professioni di antirevisionismo, allo scopo evidente di non compromettere i propri destini accademici o magari soltanto di evitare contumelie e randellate che sono riservate a chi non si produce in pubblica manifestazione di inimicizia nei confronti di una presunta corrente storiografica che tenderebbe a rivalutare fascismo e nazismo. Niente di grave: il lettore meno settario sa che non è in atto nessuna riabilitazione del nazifascismo e che questo genere di excusatio è dettato per così dire dalla politica. Il tutto finisce con il provocare in chi legge maggiore interesse nei confronti del testo. E, anzi, si è indotti a procedere nella lettura alla ricerca proprio di quei passaggi o di quelle scoperte innovatrici che hanno spinto l'autore a cautelarsi nelle premesse. Ma un intellettuale della statura di Sasso non ha bisogno di ricorrere a questi poveri mezzi. Pronunciate da lui, da uno studioso di filosofia, le parole antirevisioniste suonano in modo diverso. Come se dicesse, rivolto in particolare proprio agli storici antirevisionisti: «Per favore non accingetevi a compulsare questo libro - il quale, oltretutto, contiene cose che chi conosce i miei studi sa essere il frutto di anni e anni di approfondimento - come se fosse una banale apologia di Giovanni Gentile; non gettatelo idealmente nella mischia della querelle storiografica che infiamma quest'epoca malamente arroventata; risparmiatemi dal dover ricordare, nel dibattito che even¬ i i i a e l n i a o e i a a e o o ci n o euni se olo la moer n¬ tualmente ne nascerà, la mia ormai lunga biografia politica e intellettuale». Per parte nostra, volentieri, aderiremo ai desideri dell'autore. E diciamo subito che il libro di Sasso è una formidabile rivisitazione dei principali temi della visione storica e della filosofia gentiliana che spazia, con scrittura elegante e non dispersiva, tra il Medio Evo e il Novecento. E' un peccato, lamenta Sasso, «che Gentile sia stato così poco letto e studiato negli anni dell'interminabile secondo dopoguerra». E' venuto dunque il momento di porre rimedio e di studiare davvero tutto quel di cui il filosofo si occupò. Si va dall'autore del Canzoniere («Se Gentile diventò fascista, c'est la faute, si potrebbe dire scherzando, à Petrarca») alla dissertazione su Savonarola, Machiavelli e Guicciardini; dal bel capitolo a proposito del libro su Gino Capponi e la cultura toscana del secolo decimonono, al grande dibattito sul Risorgimento; dalla discussione sulla riforma protestante, a quella su Marx, che contiene anche una garbata polemica di Sasso con Norberto Bobbio. Molto acute le parti sul rapporto che lega Gentile a Gobetti in cui si. sostiene la tesi «della convergenza obiettiva di atteggiamenti che, in effetti, si rivelano comuni ad entrambi» sulla base dell'idea che quella dell'Italia fosse «una storia non da "continuare", svolgendo il filo delle sue tradizioni secolari, ma da "inaugurare" e, spezzato quel filo - il filo dell'inerte continuità dà "far essere" in forme nuove». Decisa è la contestazione a Turi per aver quest'ultimo posto l'accento sul carattere fascista della Treccani e sul ruolo di organizzatore del consenso al fascismo che Gentile ebbe in quell'impresa: «A parte il caso dolorosamente estremo degli studiosi ebrei e quello di Adolfo Omodeo che interruppe la collaborazione a causa della censura ecclesiastica», scrive Sasso, «l'elemento antifascista rimase, nell'Enciclopedia, abbastanza forte "tollerato" anche se, certo, non incoraggiato. Sarebbe interessante ricostruire il carattere e, quasi direi, la tonalità di questo antifascismo fermo e consapevole in alcuni (La Malfa, Calogero, Wolf Giusti, Francesco Gabrieli), cauto, incerto e nutrito di vario scetticismo in altri». Premesse, queste, per arrivare a conclusioni molto nette: l'attualismo gentiliano o per meglio dire il suo «idealismo attuale» è cosa diversa dal fascismo. Di più: la fine di questo secolo è il momento giusto «per escludere che il fascismo, quale Gentile lo concepì, abbia la sua radice nell'idealismo attuale; anche per dichiarare l'arbitrarietà delle tesi di quanti abbiano ritenuto e ritengano che questo, l'idealismo attuale, riceve in quello, nel fascismo, la sua puntuale e fedele trascrizione politica». Eppure fu lo stesso Gentile a insistere sulla perfetta fusione tra la sua scelta filosofica, l'attualismo, e quella politica, il fascismo... A questa obiezione Sasso risponde che la via del fascismo che Gentile percorse «fu filosofica, forse, nelle parole, nello sforzo dell'autointerpretazione in termini di coerenza con le premesse dell'idealismo attuale; ma nelle cose no... La via che, per pervenire al fascismo, Gentile percorse fu, ancorché segnata da parole filosofiche, una via politica, passionale, storiografica». E questo Sasso lo sostiene «non perché la intenzione sia quella di liberare in qualche modo Gentile e l'idealismo attuale dal peso del fascismo, realizzando così, attraverso l'esercizio di una sublime ipocrisia, la così detta serenità del giudizio storico; ma perché a costringerci a tanto fu la cosa stessa, la natura della sua più propria e più intrinseca costituzione. Fu, si potrebbe dire, il fallimento dell'impresa in cui, a partire dal 1923, Gentile si cimentò e che diresse alla dimostrazione dell'identità di attualismo e fascismo e dell'inevitabilità che al suo riconoscimento tanto più e meglio si pervenisse quanto più e meglio il fondo della questione filosofica fosse stata attinta». Pagine che, proprio per il fatto di non essere politicamente contaminate, rendono giustizia nel profondo a un grande filosofo del Novecento italiano. Pagine di un crociano che, ci piace pensare, oggi piacerebbero oltreché a Croce allo stesso Giovanni Gentile. Paolo Mieli Un intreccio di revisionismi: la prima breccia nel muro di ostilità fu aperta da Augusto Del Noce Nella foto grande Giovanni Gentile In basso, da sinistra Benedetto Croce e Augusto Del Noce Qui a destra Guido Calogero

Luoghi citati: Italia, Mondolfo, Napoli, Roma, San Paolo, Stati Uniti