Figlio dei Balcani
Figlio dei Balcani Figlio dei Balcani Una figura venerata e odiata COLLABORAZIONISTA O MARTIRE? ZAGABRIA DAL NOSTRO INVIATO Aloisio Cardinale Stepinac si trovò a capo della Chiesa croata negli anni peggiori: la Seconda guerra mondiale, il regime fascista di Ante Pavelic, il regime di Tito. Da ieri è un «beato», martire della fede. A un secolo dalla nascita, e a trent'anni dalla morte, conseguenza dei maltrattamenti e di un probabile avvelenamento lento, la sua figura non riesce neanche adesso a liberarsi dalla trappola della politica balcanica che condizionò così duramente la sua vita, e contribuì alla creazione di una «leggenda nera» che ancora ora persiste. Eroe o collaborazionista? «Conversore» a forza di ortodossi ed ebrei, o «Schindler» in abito talare, obbligato a far buon viso al tiranno dell'epoca per continuare a salvare delle vite? In questo complicato puzzle, così intriso di odi, rancori e pregiudizi, emergono alcuni elementi. Quelli a sfavore ci pensano i serbi di «Balkan Infos» a ricordarli. All'inizio del 1942 è nominato cappellano principale delle forze croate; còme deputato al «Sabor», il Parlamento, avrebbe giurato sul pugnale, la granata e la bandiera; non avrebbe protestato «almeno all'inizio» contro i massacri di serbi, ebrei e comunisti; non avrebbe rimproverato il suo ausiliare, autore di una predica delirante a favore del «duce» Pavelic. Sul suo conto viene messa - ma in realtà non ne era responsabile - una visita che Ante Pavelic fece a Pio XII, anche se il Vaticano non riconobbe mai lo stato fascista di Croazia. Risparmiamo altre accuse dello stesso genere; insomma tutto portrebbe a giustificare il processo che fu intentato nei suoi confronti da Tito, e che si concluse con una condanna a sedici anni di reclusione. Se non che il processo fu aperto dopo che i vescovi croati firmarono una lettera aperta, chiedendo libertà per la Chiesa cattolica, e dopo che Tito non era riuscito a convincere Stepinac a dare il suo avallo alla creazione di una «Chiesa popolare», indipendente da Roma, analoga a quella cinese. Milovan Gilas, leader comunista tirino poi caduto in disgrazia, dichiarò: «Per dire onestamente la verità, io penso, e non solo io, che Stepinac sia un uomo integro, un carattere fermo, che non si può spezzare. Egli è stato davvero condannato innocente, ma quante volte è accaduto che gli uomini innocenti venissero condannati per necessità politica»? E a differenza di Pio XII, non si può certo rimproverare a Stepinac di non aver parlato. L'ambasciatore tedesco dell'epoca lo definì «amico degli ebrei»; Hitler avrebbe voluto eliminarlo, e suo fratello fu ucciso dai nazisti. Pavelic non volle: la decapitazione di Stepinac avrebbe avuto un effetto tremendo in Croazia. Nella cattedrale di Zagabria parlò forte e chiaro: «La Chiesa cattolica ha da sempre condannato, e condanna anche oggi l'ingiustizia e la violenza che si commettono in nome di teorie di classe, di razza e di nazionalità». Scrisse almeno otto lettere ufficiali al Ministro dell'Interno per protestare contro le misure prese verso serbi ortodossi ed ebrei, obbligati a portare un bracciale azzurro o la stella gialla, e di questo c'è memoria nei volumi de «La Santa Sede e la Seconda guerra mondiale» e altri archivi. Meir Touval Weltmann, un ebreo responsabile degli aiuti ai suoi correligionari a Istanbul, scrisse a mons. Roncalli, futuro Giovanni XXIII, per ringraziare lui e mons. Stepinac per quanto avevano fatto a sostegno degli ebrei croati. E sembra che anche il patriarca serbo ortodosso Pavle, interpellato durante il processo di beatificazione, abbia dato il suo placet, [m. tos.] «Nei primi anni chiuse gli occhi sui massacri di serbi ebrei e comunisti» «L'ambasciatore di Hitler lo definì amico degli israeliti Il Fuhrer voleva eliminarlo, suo fratello venne ucciso dai nazisti Tito lo incarcerò» Il Papa con il presidente Tudjman e, a sinistra, il cardinale Stepinac
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