L'Australia non va a sinistra di Fabio Galvano

L'Australia non va a sinistra Fiducia al programma di rigore economico del premier, grande sconfìtto il partito razzista One Nation L'Australia non va a sinistra Più voti alLabour ma vincono i conservatori LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La scommessa del primo ministro australiano John Howard è riuscita; ma di misura. Alle elezioni anticipate di ieri ha perso la travolgente maggioranza conquistata 31 mesi fa, tuttavia la sua coalizione Liberal-National ha resistito alla vibrante riscossa del Labour Party e ha annientato il nazionalismo razzista di Paulina Hanson e del suo schieramento One Nation. I risultati finali non saranno noti per almeno una settimana, a causa non solo del complicato sistema elettorale preferenziale, con il passaggio alle seconde e alle terze scelte dei voti andati ai candidati ehminati, ma anche dell'alta percentuale di voti postali provocati dal tradizionale «ponte» di primavera attorno alla Festa del Lavoro. Dopo una prima conta dell'80% delle schede, comunque, le proiezioni della tv australiana sono ormai fisse: 77 seggi (su 148, una maggioranza di 6) alla coalizione di Howard, che ha già proclamato vittoria. Torna quindi il governo in carica nell'Australia che si avvia verso il centenario (nel 2001) della sua nascita come nazione e verso il sogno repubblicano cui anche ieri Howard ha alluso. Torna con l'avallo popolare a una profonda riforma fiscale, imperniata sull'introduzione di una tassa del 10% su beni e servizi - la Gst, controfigura della nostra Iva - e su una parallela riduzione delle imposte sul reddito. Ma soprattutto torna, dopo avere rintuzzato la sfida nazionalista della Hanson, promettendo una «vera riconciliazione» con gli aborigeni, verso cui neppure Howard è stato mai molto tenero. Dopo essere stato criticato per non avere ripudiato in modo esplicito l'atteggiamento della Hanson contro aborigeni e immigrazione asiatica, nel suo primo discorso post-elettorale Howard ha fatto un chiaro sforzo per voltare pagina. «Voglio dedicare questo mio nuovo governo - ha detto - al mantenimento dei tradizionali valori australiani, compreso quello grandissimo della tolleranza, battendomi contro la discriminazione di razze o gruppi etnici e per la causa di una vera riconciliazione con le popolazioni aborigene dell'Australia entro il centenario della nostra Federazione. Tutti gli australiani sono uniti nella volontà di riuscirci». Paradossalmente, sono stati i laboristi a conquistare un maggior numero di consensi: il 41 % contro il 39% nel voto primario, il 51,5% contro il 48,5% dopo la distribuzione delle preferenze. Ma non è bastato, a Beazley, per conquistare 27 seggi più che nel 1996. A poco è valso il suo grande vantaggio in alcune circoscrizioni, quando poi nelle più marginali i suoi candidati hanno perso per pochi voti. Forte del voto popolare, non ha fatto esplìcite ammissioni di sconfitta. «Il governo - ha riconosciuto - ha un mandato per governare bene». Ma subito ha aggiunto: «Quello che io posso garantire è un'opposizione aggressiva, che lo costringerà all'onestà». Tanto più che al Senato, dove erano ieri in palio 40 seggi su 78, il sistema proporzionale dà all'opposizione una piccola maggioranza: ago della bilancia sarà la terza forza politica, i Democrats. La vera grande sconfitta del voto di ieri è Pauline Hanson. Trionfatrice tre mesi fa nelle elezioni statali del Queensland, dove a sorpesa aveva conquistato il 23% dei voti, non è riuscita a ripetere lo stesso successo su scala nazionale. Ha avuto l'8,4%, ma neppure un seggio, neppure quello che già era suo: la controversa piattaforma protezionistica e a sfondo razzista con cui si era presentata non l'ha retta. Alla fine persino il Queensland le ha voltato le spalle, dandole soltanto il 16% dei voti. «One Nation non svanirà», promette lei; ma per il primo ministro Howard non è più una spina. Fabio Galvano

Persone citate: Beazley, Hanson, John Howard, Paulina Hanson, Pauline Hanson

Luoghi citati: Australia, Londra